Week end lungo a NY? Oh yeah!

Possono uscire fuori molte cose da una chiacchierata tra amiche durante una passeggiata primaverile di domenica pomeriggio, tra cui l’idea di un week end lungo da qualche parte, dopo più di due anni senza grandi viaggi. Da qualche parte, ma dove? Ma a New York, ovviamente!

Quindi, Emy e Babi tutte soddisfatte decidono che il fine settimana lungo di San Giovanni (che è Santo Patrono di Genova e nel 2022 cade di venerdì, il 24 giugno) è perfetto e si fanno fare un preventivo, con tutte le assicurazioni del mondo per mettersi al riparo da epidemie, guerre e qualsiasi altro possibile imprevisto o sciagura.

Lo diciamo anche a quell’altra? Ma non vorrà venire… E invece Heidi, contro ogni pronostico, si unisce al gruppo, decidendo di sfidare per una volta i grattacieli invece delle vette alpine! E quindi siamo in tre, un nuovo preventivo e via, si prenota!

Il risultato è stato un volo di andata il giovedì mattina (diretto Delta da Malpensa) e un volo di ritorno la domenica sera dal JFK (diretto operato da ITA) e quindi tre notti nella Grande Mela, in un albergo centralissimo per ottimizzare il poco tempo.

Quindi un week end lungo a New York si può fare? Assolutamente sì, anche se praticamente tutti ci hanno preso per matte per così pochi giorni oltreoceano! E’ ovvio che abbiamo visto e fatto un infinitesimo di quello che si può vedere e fare a NYC ma va anche detto che comunque per fare tutto non basterebbero neanche mesi.

Io sono una grande fan dell’app “Get Your Guide” che anche stavolta è stata utilissima per prenotare diverse attività in un attimo e tutte rimborsabili fino al giorno prima: con poco tempo a disposizione abbiamo dovuto scremare, decidere e programmare e siamo partite con già in mano un minimo di piano d’azione.

Giovedì: dopo volo in ritardo, un’ora di immigration e più di un’ora di taxi causa traffico monstre, abbiamo fatto i nostri primi tredici km newyorkesi a piedi e, nel Greenwich Village, abbiamo fatto il pellegrinaggio al portone di casa di Carrie Bradshaw. N.B. durante il volo di andata mi ero riguardata sia il film di “Sex and the City” che “Il diavolo veste Prada”, giusto per entrare nell’atmosfera giusta. Di ritorno verso l’albergo (in taxi, dopo un primo test di “chiamata con la manina”, con tassista di origini italiane e figlioletto di nome Vincenzo) io e la Bionda (Babi) abbiamo portato Heidi a prendersi il primo schiaffo di luci, gente e macello a Times Square: difficile spiegarlo a chi non c’è mai stato, ma è proprio uno schiaffo!

Venerdì: avevamo la prenotazione per l’ascensore supersonico del nuovissimo grattacielo One Vanderbilt e relativa esperienza panoramica e multisensoriale ai piani 91, 92 e 93. Solo che il jet lag ci ha fatto uscire dall’albergo prima delle galline, mentre in giro c’erano giusto i camion della spazzatura, a stelle e strisce anche loro, e così ci siamo messe a passeggiare verso Rockefeller Center, Trump Tower e Central Park, in un’esplosione di arcobaleni per il mese del Pride. Inutile dire che il panorama dal grattacielo è pazzesco e idem l’ascensore, che fa 91 piani in tipo venti secondi: hanno pensato l’esperienza perchè sia diversa rispetto ai classici Empire State Building e Top of the Rock e quindi largo a specchi, trasparenze e palloncini argentati, il tutto circondato da una vista strepitosa a 360 gradi.

Sempre venerdì: uno dei capisaldi quando abbiamo pensato alle cose da fare era stato fin da subito il musical a Broadway e quindi eccoci al Neil Simon Theatre per “MJ”, il nuovo musical sulla carriera di Michael Jackson: livello ovviamente stellare! Prima di andare a teatro abbiamo provato l’ebrezza di essere rimbalzate da un ristorante alle 18.15: ci toccherà tornare di nuovo da quelle parti per provare la cucina di John’s, dove Babi era stata nella sua prima volta a NY.

Sabato: il jet lag insiste e quindi di nuovo a spasso presto: manina taxi ormai pro su una Fifth Avenue praticamente deserta e via verso Lower Manhattan, per macinare kilometri anche lungo il Brooklyn Bridge. Caldo niente male e maps ci ha poi anche fatto fare un giro dell’oca dentro Chinatown per raggiungere lo sperduto molo da cui partiva la nostra crocierina fotografica verso Lady Liberty, in mezzo a barche arcobaleno. Affamate e cotte (e fregate da un tassista che si è fatto furbo) siamo andate alla ricerca di cibo vicino al nostro appuntamento successivo: il museo/memoriale dell’11 settembre.

Qui ci vuole un capitolo a parte, sia sul nostro pranzetto molto Sex and the City da “Sant Ambroeus” (che non oso immaginare come venga pronunciato dagli indigeni), che per il museo “9/11”. Al ristorante storico di Milano, che non sapevo avesse anche due succursali nella Big Apple, tavolo ombreggiato vista nuovo World Trade Center, negozi di Gucci e Zegna accanto, caro ma qualitativamente alto e, evviva evviva, un signor espresso, tanto che dopo la visita al memoriale ci siamo tornate di nuovo: tre tossiche in astinenza da caffeina! Il museo dell’11 settembre è semplicemente straordinario: non era facile farlo davvero bene, con tutte le sue emozioni e implicazioni, ma ci sono riusciti. E’ ricordo, narrazione, scoperta, emozione, costruito esattamente dove tutto è successo.

Come chiudere l’ultima (di già???) giornata nella Grande Mela? Io e la Bionda prima di partire avevamo preso in mano la situazione e prenotato online un tavolo per un aperitivo su un rooftop bar vista Empire State Building: il “Top of the Strand”, sul tetto di uno dei tanti Marriott, al 21° piano. Prosecchino con panorama unico, temperatura perfetta, ambiente super e musica eccellente: ci stava alla grande!

Domenica: il volo è alla sera, quindi c’è tempo per andare ancora un po’ in giro e macinare altri km a piedi (alla fine saranno una settantina, in quattro giorni scarsi). Stavolta ci dividiamo: Babi torna verso Macy’s e a sbirciare i preparativi per la partenza del corteo finale del Pride, invece io e Heidi andiamo a passeggiare nel verde a Central Park, tra scoiattoli nutriti dalle mani, un tot di cani bellissimi e una corsa con una marea di iscritti che, come ci ha spiegato un toscano ormai trapiantato là che faceva il volontario, fa parte di quelle che, sommate, danno la possibilità di avere un pettorale per la maratona. Ci riuniamo per un pranzo tipicamente americano, in uno di quei locali vagamente retrò con i tavoli con le panche e i divisori tra uno e l’altro, le salse sui tavoli e i menù giganteschi (come le porzioni). E il caffè? Babi al mattino aveva scoperto un espresso niente male in un chiosco di Bryant Park: fa caldo, il sole splende, il parco è magnifico e pieno di gente ed il caffè in effetti è più che decente! Bottarella di malinconia e poi albergo, bagagli, taxi, aeroporto e via, si vola verso casa.

Per me si è così conclusa la quarta e sicuramente non ultima visita nella sempre vibrante e unica Grande Mela, la seconda (e altrettanto sicuramente non ultima) per la Bionda e la prima, e molto probabilmente ultima, per Heidi, che ha approfittato dell’occasione per visitare una città lontana anni luce da quello che le piace e dalle vacanze che ama fare, ma che molto difficilmente ci cascherà di nuovo (altrimenti che Heidi sarebbe?)!

Il feticcio del week end sono state sicuramente le ciabatte pelose arcobaleno nella vetrina del negozio Hugg, che faceva angolo con la Street dell’hotel e ci è servito da subito come punto di riferimento: non abbiamo avuto il coraggio di comprarle ma le abbiamo amate molto, soprattutto la Bionda!

Goodbye New York, alla prossima!

Pubblicità

Pioggia, divano, rugby, rugby, rugby!

Sabato 13 novembre, mentre fuori pioveva e mezza Genova era allagata, io ho passato un tot di ore sul divano a godermi tre partite del secondo turno di Autumn Nations Series: Italia-Argentina, Irlanda-Nuova Zelanda e Inghilterra-Australia.

Con me sul divano c’erano i miei gatti, ovvero Artù, Nerone e la principessa Nika, mentre in collegamento da altri divani sparsi per l’Italia c’erano, come di consueto, i membri della pregiatissima giuria TGMS.

ITALIA -ARGENTINA (16-37)

Quella che doveva essere la prima prova del nove per la nuova Italia di Crowley, considerando giustamente poco attendibile il test contro gli All Blacks, si è rivelata purtroppo molto deludente e ha dato nuovamente l’impressione di un’Italrugby specializzata nel passo del gambero: un passetto avanti e poi subito un paio di passi indietro. Nessuno si aspettava miracoli e nessuno si illudeva che ventisette minuti sullo 0-0 contro una Nuova Zelanda in formazione inventata di sana pianta significassero un miracolo ma ci si aspettava di vedere anche a Treviso almeno la stessa “garra” e la stessa efficacia in difesa. Invece gli Azzurri hanno fornito una prestazione scialba e piena di errori e gli argentini hanno piazzato un quasi quarantello quasi senza sudare e senza fare niente di trascendentale.

Si tende spesso ad affiancare Italia ed Argentina, due Paesi lontani ma accomunati dalla latinità ed anche dal “sangue” visto il gran numero di argentini di origine italiana, oltre che legati dal punto di vista ovale dal gran numero di giocatori “albicelesti” che da sempre giocano in Italia e anche in maglia Azzurra. In realtà, le due nazionali di rugby sono lontane anni luce: le separano sei posizioni nel ranking (8 vs 14) ma anche un andamento decisamente diverso nel corso degli ultimi anni.

Nonostante le enormi difficoltà economiche e sociali del Paese, il rugby argentino continua a progredire e a sfornare giocatori di qualità che, dopo la fine dell’esperienza dei Jaguares, sono tornati a fare la fortuna dei principali club europei. Un sistema basato sui club, a cui gli argentini sono legati in modo viscerale, e il rispetto e la valorizzazione del rugby riescono a creare e mantenere un eccellente movimento, nonostante le tante difficoltà.

Proprio da uno dei grandi club francesi arriva Marcos Kremer, un gigante che, dal momento in cui ha segnato contro l’Italia, ha immediatamente colpito la giuria: “Ci ispira crema al pistacchio e passito di Pantelleria, con i suoi sentori di frutti a polpa gialla e miele. Il giovinotto è nato a Concordia, città al confine con l’Uruguay: nomen, omen e infatti ci ha messo tutte d’accordo!”.

Un grande abbraccio allo sfortunatissimo pilone Azzurro Marco Riccioni che ha lasciato il legamento crociato del suo ginocchio sinistro sul campo di Treviso: in bocca al lupo per la guarigione!

IRLANDA-NUOVA ZELANDA (29-20)

Una partita di rugby assolutamente STELLARE tra la numero 5 e la numero 1 del ranking IRB. L’Irlanda non ha sbagliato niente, così come il buon (e bon) arbitro Luke Pierce, già ampiamente apprezzato dalla giuria al 6 Nazioni.

Questa partita finisce dritta negli annali e non solo perchè ogni sconfitta degli All Blacks è un evento: i Verdi hanno dato vita ad una prestazione strepitosa, mostrando di non essersi affatto fatti intimorire dalla Kapa O Pango a loro dedicata dagli avversari. E se gli hanno fatto la Kapa O Pango voleva già dire che gli AB non erano poi molto tranquilli!

Incontrare l’Irlanda al 6 Nazioni sarà una vera goduria… Ma andiamo oltre e preoccupiamoci di questo quando sarà il momento!

Partita meravigliosa e bei soggetti in campo, tra i quali la giuria ha di fatto selezionato… due neozelandesi! Nel senso che James Lowe, ala dell’Irlanda, è in realtà un Maori nato a Nelson che ha scelto di essere eleggibile altrove e ha anche segnato una meta fondamentale proprio contro i suoi compaesani. “Sciolgo le trecce ai cavalli…”: la chioma di Lowe, sciolta subito dopo la marcatura, ha stecchito all’istante la giuria, che cn lui dividerebbe un tortino dal cuore caldo di cioccolato fondente ricoperto di cioccolato bianco fuso. Ci si beve sopra un Erbaluce di Caluso passito DOCG, che sa di erbe aromatiche e mandorla.

Per quanto riguarda gli All Blacks siamo andate su un classico intramontabile: il maturo, fortissimo e fascinosissimo mediano di mischia TJ Perenara, votato ancora prima di toccare palla, mentre guidava la Haka di Dublino. Per lui abbiamo subito puntato su un esotismo caliente con un chutney piccante di mango che la nostra esperta sommelier ha abbinato con un vino nientemeno che dallo stato di Washington, “un riesling morbidissimo ma con una forte acidità, note di idrocarburi e fiori di sambuco appassiti. Insomma, sa di benzina, come TJ quando gioca o conduce la Haka!”.

INGHILTERRA-AUSTRALIA (32-15)

Partita non esaltante e seguita un po’ distrattamente ma apprezzata quel tanto che basta per far esclamare a parte della giuria che “tornando ai tronchi di pino, Eng-Aus è un bosco!”. Molti muscoli e fascino da surfisti per gli Aussie, molti muscoli e relative maglie bianche super stretch per i giocatori della Rosa.

Mentre scrivo, domenica 14 novembre, è in corso Galles-Fiji, è appena finito il primo tempo, il Galles sta faticando decisamente troppo e a noi non poteva sfuggire l’arbitro australiano Nic berry, peraltro abbinato al sempre votatissimo arbitro Ben O’Keeffee, al quale il primo si rivolge come se fosse un suo personale TMO. Con loro c’è anche il giovane e promettente fischietto italiano Gianluca Gnecchi, scelto per questo importante appuntamento internazionale: bravo!

Anche questa settimana non possiamo esimerci dall’inserire un “fuori campo”: dopo Damiano dei Maneskin in Gucci white tocca ora a Matteo Berrettini, uno dei maschi italici più belli del creato, che ha oscurato il sole quando è comparso alla presentazione delle ATP Finals. Lui lo abbiniamo ad una crema spalmabile alla nocciola con pepite di sale grosso, insomma una nutella molto gourmet e di classe, proprio come lui. Per quanto riguarda il vino “è talmente fuori gara che gli dedichiamo un’intera zona di produzione: il Priorat, a sud di Barcellona, suolo vulcanico di quarzo e argilla nera, difficile da coltivare ma che dà vini potenti ed elegantissimi che sono unici, come il buon Matteo”.

Quanta bella gioventù! E zio Nole là dietro che ghigna e sta pensando che li stende ancora tutti!

P.S. Il week end ovale era iniziato venerdì sera con la diretta del “derby d’Italia” Petrarca Padova vs Rovigo, che a Raisport probabilmente ancora credono sia stato Padova-Treviso.

Storie dal paesello: una Rasoiata a sorpresa!

Quando si cresce in una piccola realtà succede che, anche se non si frequenta direttamente qualcuno e non si è nello stesso gruppo di amici, di fatto tra coetanei ci si conosce tutti.

Tutti sanno chi sono gli altri, si conoscono nomi e amicizie, si sa dove ognuno va a scuola quando si iniziano le superiori, si sa chi ha fratelli o sorelle e chi sono, e così via.

Ovviamente si sa se qualcuno si sposa, se ha dei figli, se va a vivere altrove, se è andato all’università e, bene o male, anche che lavoro fa.

Così, avevo lasciato Walter, che è due anni più giovane di me, laureato in scienze dell’educazione e occupato nel settore, ovvero in una qualche comunità di sostegno o qualcosa di simile.

Io vivo altrove ormai da quindici anni e, salvo le mie visite periodiche al paesello, quattro chiacchiere e saluti vari, per quanto riguarda le amicizie non strettissime il mio telescopio verso quel mondo sono, inevitabilmente, i social network.

È quindi successo che, qualche tempo fa, ho iniziato a vedere dei post dai quali si intuiva che Walter l’educatore fosse diventato Walter il parrucchiere o barbiere. Finché poi non si sono materializzate anche le tracce di un progetto di apertura di un negozio.

Un’altra delle cose su cui chi è nato e conosce bene un piccolo centro non può sbagliarsi sono i negozi, le attività commerciali: si sa esattamente dove si trovano e si possono elencare praticamente ad occhi chiusi. Quindi ogni novità va inserita in questa mappa mentale.

Ho iniziato a chiedermi come caspita Walter l’educatore fosse arrivato ad una prossima apertura di un negozio “barba e capelli” e gli ho scritto, dicendogli che avrebbe dovuto raccontarmi tutta la storia alla prima occasione, davanti ad un bel bicchiere. Era poco prima che il covid buttasse all’aria il mondo.

Nel frattempo e nonostante la pandemia, seppur in ritardo sui programmi, la bottega è stata aperta, il 13 novembre 2020 e oggi, 2 aprile 2021 io e Walter ci siamo finalmente fatti la famosa (video)chiacchierata, purtroppo senza bicchieri ma contenti in ogni caso.

Così ho scoperto che, a quasi quarant’anni e dopo aver iniziato a tagliare alla buona (ovvero con “la macchinetta”) i capelli ai ragazzi ospiti della comunità dove lavorava e dove non si trovava più molto bene, tra una semplice rasatura e qualche primo ed avventuroso tentativo di sfumatura con le forbici, Walter decise di iscriversi alla scuola serale per parrucchieri, lavorando nel frattempo nella comunità per il primo anno e poi da un parrucchiere per il secondo e il terzo (anno supplementare che serve per poter avere l’abilitazione necessaria ad aprire un negozio proprio: tutte cose che ho imparato pochi minuti fa!).

Trovato il locale e arruolato un team di amici (che, naturalmente, conosco anche io!), ognuno con la sua professione e professionalità, per collaborare alla realizzazione e allestimento del negozio, la “follia” di Walter ha infine preso forma e sostanza diventando “Rasoiata Barba&Capelli”.

Mi piace raccontare storie che mi colpiscono ed incuriosiscono e questa, decisamente, lo ha fatto.

Mi piace doppiamente perché stiamo parlando di un paesino in provincia di Bergamo in tempi di covid, con una linea temporale che prende in pieno anche il tristemente famoso marzo 2020.

A Walter (al quale nessuno o quasi si rivolge chiamandolo per nome ma sempre per cognome, ma faccio finta di no per mantenere un minimo di parvenza di diritto alla privacy!) un grande abbraccio, il mio più sincero in bocca al lupo e, visto che per fortuna ancora la barba non mi cresce, l’appuntamento non da cliente ma per due chiacchiere davanti al famoso buon bicchiere, non appena si potrà!

Roberto Sediño is the new Jonny Wilkinson: inizia la RWC 2019!

Su Facebook mi sono imbattuta in questo disegno, dedicato agli All Blacks dal creatore di Holly e Benji, e mi sono emozionata e quasi commossa, perché è l’immagine che per me racchiude alla perfezione il Campionato del Mondo di rugby che sta per iniziare in Giappone: Holly, uno dei miei miti dei cartoni di quando ero piccola, e il rugby, mia grande passione dell’età adulta.

Non sono mai stata in Giappone ma è da quando sono piccola che mi sembra di conoscerlo, grazie all valanga di cartoni animati che ho guardato. Insomma, lo stesso effetto di film e telefilm americani, che da sempre fanno sentire a tutti di conoscere gli USA.

Sono, appunto, abbastanza non più giovane da essere cresciuta con l’ondata dei cartoni animati giapponesi e ho avuto la fortuna di essere bambina quando giocare non significava starsene sprofondati su un divano: guardavo Holly e Benji e uscivo in giardino a giocare a pallone (e ho anche sfondato un vetro di casa facendo le scivolate in cucina), grazie a Mila e Shiro ho giocato a pallavolo per più di un decennio, ho costruito fantastici nastri artigianali da far volteggiare in salotto imitando la ginnasta Hilary e ho pattinato per km attorno a casa indossando una gonnellina e brandendo una bacchetta magica, sempre rigorosamente home made, perché mi sentivo tanto Yu.

Holly, a dire il vero, non ce lo vedo tantissimo a giocare a rugby ma, se fosse, sarebbe di certo un numero 10, con Tom Becker 9, Julian Ross estremo (se la salute lo assiste!), Ed Warner e Benji Price centri, i gemelli Derrick ali (ovviamente!) e Mark Lenders numero 8. La mischia la completerei con i cyborg (“Cyborg 009”) e la farei allenare dal Sig. Daimon, l’allenatore dei trequarti, senza se e senza ma, sarebbe coach Mitamura, il preparatore atletico Ken Shiro (“fai subito dieci giri di campo o ti tocco il punto segreto che fra tre giorni muori!”) e l’allenatore dei calci, ça va sans dire, Roberto Sediño.

Domani si comincia e sabato c’è NZL-RSA: RWC 2019 mode ON!

————

P.s. tantissimi contenuti sul Mondiale sul sito e sui social dei Pirati del rugby!

Il mio ritorno in palestra: atlete per caso e calzini dimenticati

3 settembre 2019: primo giorno di… scuola? No! Di lavoro? No! Primo giorno della ripresa della palestra!

Ho un rapporto tutto mio con la palestra e il fitness. Ho giocato per tanti anni a pallavolo e ho sempre identificato il fare sport con discipline agonistiche, l’allenamento come preparazione ad una partita, una gara. Quindi, non ho mai considerato “andare in palestra” come “fare sport”.

Questo finché non mi sono imbattuta nelle mie due guru del fitness, Roberta e Antonella. Due Donne con tanti muscoli ma ancora più cuore e cervello che sono state in grado di farmi continuare ad andare in palestra dopo che non ci volevo più mettere piede quando sono rimasta per giorni praticamente invalida dopo aver provato la mia prima lezione di pump con la Anto, nella prima sera in palestra della mia vita: “questa è matta: io qui non ci vengo mai più!!!”. Ma avevo già pagato e, soprattutto, nonostante mi avesse resa inabile anche ad usare coltello e forchetta, oltre che a camminare, scendere dal letto e sedermi sul water, quella pazza mi era piaciuta tanto, così come “l’altra”, di cui avrei provato i corsi non appena di nuovo in grado di muovermi.

Da quella tragica sera sono passati ormai un po’ di anni e tante cose sono cambiate: Roby e Anto hanno aperto la loro palestra, identica a loro, cioè un po’ folle e piena di cuore e cervello, con una filosofia di allenamento (ora lo penso!) e benessere che hanno avuto la forza ed il coraggio di portare avanti anche se è molto meno commerciale di altre.

I loro corsi, oltre ad aiutarmi ad avere una forma fisica decente e a combattere una lotta costante vs forza di gravità, anni che passano e passione per la buona tavola e per le patatine, negli anni mi hanno permesso di incontrare e conoscere Donne pazzesche, di fare gruppo con altre “atlete per caso” come me, che si fanno il mazzo, si impegnano a fare le cose bene per tenersi in forma, ma nello spogliatoio parlano di ricette, aperitivi e cene da fare (beh, non solo di questo, a dire il vero, ma anche di questo…!).

Alcune sono diventate mie amiche speciali, una anche una compagna di bellissimi viaggi, la maestra sono riuscita a portarla nell’universo Pro Recco Rugby, altre sono Donne simpatiche e toste che, se frequentano quella palestra, è perché ci somigliano, a quel posto che è per molti ma non per tutti (cit.).

Detto tutto questo, stamattina mi sono ricordata la borsa, preparata dopo un mese di pausa, tipo la cartella di scuola dopo l’estate, ma non di metterci anche i calzini: chi ben comincia…!

Buon anno di allenamenti a tutte le atletone DOP, quelle che vanno in palestra motivate dal provare a restare decentemente in forma senza dover rinunciare a mangiare e bere!

“Sono entrato in palestra. Mi hanno dato da compilare un modulo per l’iscrizione. Mi è venuto il fiatone”. (Daniele Luttazzi)