‘Na tazzulella ‘e café con Alessandro Fusco!

Alessandro Fusco, napoletano, classe 1999, mediano di mischia delle Zebre e della Nazionale, avrebbe dovuto disputare questi Test Match autunnali ma uno sfortunatisismo infortunio nell’ultima partita di URC l’ha costretto ai box per alcune settimane.

L’ho incontrato a Genova insieme a Pierre Bruno in occasione della presentazione della partita che si giocherà a Marassi e abbiamo fatto due chiacchiere su qualche conoscenza comune e sui suoi anni in Accademia, quando aveva giocato contro la mia Pro Recco in Serie A. Così, quando ho letto del suo infortunio ho pensato di “sfruttarlo” per una piccola rubrica durante questa finestra autunnale: poche domande a risposta veloce, giusto il tempo di due chiacchiere davanti ad un caffè!

Partiamo da un classico: che voto dai, da 0 a 10, alla partita dell’Italia e perché?

Un bell’8 pieno, anche 8,5. Una grande Italia che, dopo i primi dieci minuti di difficoltà, ha ingranato ed è andata a segnare e ha poi continuato a giocare bene sia in attacco che in difesa per tutta la partita, fatta eccezione per i venti minuti finali, complici la stanchezza e un ritmo più basso.

Tre aggettivi per l’Italia di Padova.

Grintosa, determinata, combattiva.

Il tuo personale “Player of the Match” per l’Italia va a…?

Sono d’accordo con quello ufficiale: Steve Varney, che ha giocato un’ottima partita ed è stato molto efficace nel gioco al piede.

Quale azione avresti voluto fare tu e perché?

Avrei voluto partecipare all’azione in cui abbiamo segnato da calcio d’inizio, abbiamo bucato subito la difesa, poi quella serie di due contro uno e infine Pierre Bruno in meta. Una grande azione!

Una frase in napoletano che fotografa bene la partita!

Direi proprio “‘Na jurnata ‘e sole”!

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C’era una volta… la Serie A

Nelle ultime due settimane sono successe due cose che mi hanno riportato alla mente la vecchia Serie A e quanto ne sento la mancanza.

La prima è stata una chiacchierata via teams con Davide (Macor), nella quale abbiamo parlato di vari temi legati al rugby, tra cui, appunto, anche i campionati italiani.

La seconda è stata la triste notizia della rinuncia alla Serie A da parte della Rugby Udine Union FVG: un campionato e mezzo non disputati più l’ultimo lungo stop durante quello in corso stanno presentando il conto a tutti e, per alcuni, è salatissimo.

Davide, peraltro, è proprio udinese, quindi, già con lui durante quella chiacchierata, avevo ricordato un episodio che riguarda una trasferta dei bianconeri a Recco e che ora racconto con ancora più piacere, augurando all’Udine di tornare il prima possibile in Serie A.

Correva l’anno… dunque… è passato un secolo… ecco, era il campionato 2009/2010 (la storia sul sito Pro Recco Rugby mi è venuta in soccorso!), la Serie A era composta da ventiquattro squadre divise in due gironi da dodici secondo un criterio casuale. Era però stato deciso che, nella stagione successiva, la formula sarebbe cambiata, con i due gironi che sarebbero diventati “A1” e “A2” e, per la suddivisione, avrebbe fatto fede il piazzamento della stagione precedente: le prime sei di ciascun girone in A1, le altre in A2.

In una delle ultime giornate toccava proprio a Udine venire a giocare a Recco una partita che valeva come uno spareggio per il sesto posto, visto che le due squadre erano fino a quel punto appaiate lì a metà classifica. Vinse Udine ma, la cosa che ricordo di più, sono i meravigliosi tifosi friulani, arrivati a Recco in massa nonostante la distanza (cinquecento e fischia km) e dotati di una sirena antiaerea a manovella, giusto per non farsi per niente sentire!

Per la cronaca, alla fine la Pro Recco, arrivata settima, fu ripescata per il ritiro di una squadra e andò comunque in A1. Grazie a questo, io ho avuto la possibilità di vivere in prima persona quella nuova formula della Serie A che, a posteriori, ritengo senza ombra di dubbio la migliore, con un campionato cadetto di ottimo livello, vero torneo di formazione per i giovani, bello da vedere per gli spettatori e da giocare per gli atleti.

Dalla A1 si retrocedeva in A2 e da lì in B. In realtà, dalla A1 si poteva anche malauguratamente retrocedere direttamente in B e dalla A2 si poteva sulla carta anche andare direttamente in Top10 (chiamiamolo così per comodità, anche se non ricordo se allora si chiamava così o “Eccellenza”) e questo faceva sì che non ci si potesse mai adagiare: chi lottava per tentare la promozione non poteva distrarsi e alla fine doveva passare, per raggiungere la finale, da una semifinale di andata e ritorno da girone dantesco e chi doveva cercare di salvarsi doveva tenere il coltello tra i denti dalla prima all’ultima giornata.

Quella formula aveva mille punti a favore e uno solo a sfavore, che è stato quello che ne ha decretato troppo frettolosamente la fine.

I gironi meritocratici implicavano che, come del resto si era sempre fatto, si andasse a giocare in tutta Italia, ed era bellissimo, nonostante alcune trasferte fossero da mettersi davvero le mani nei capelli; si andava a Benevento, che dal nord è un viaggio quasi intercontinentale, si andava in Sicilia, si andava più volte a Roma, si andava ovunque e, naturalmente, si andava “n” volte in Veneto. Trasferte lunghe, fatica, ma la bellezza di misurarsi con tante squadre diverse e con un ottimo livello generale, dovendo sempre dimostrare qualcosa e giocare per qualcosa.

Così, un bel giorno, qualcuno si accorse che la Serie A costava di trasferte ben più del Top10, solo che le squadre avevano meno entrate e non prendevano un centesimo dalla Federazione che, invece, ogni anno elargisce una discreta somma ad ognuna delle società del massimo campionato.

Come è stata risolta la questione? Non provando a dare un supporto alle squadre ma rivoluzionando la formula del campionato, trasformandola da meritocratica a territoriale e frammentando le ventiquattro squadre in quattro gironi da sei, con due fasi che facevano sì che, dopo aver incontrato le altre cinque squadre del proprio girone, si finiva poi ad incrociarsi con quelle di un altro, in poule promozione oppure retrocessione, a seconda del piazzamento nella prima fase.

Questa formula era, in pratica, una sorta di via di mezzo: la prima fase vicino casa e la seconda allargando un po’ l’orizzonte geografico. A posteriori, sappiamo che non era poi così disprezzabile, visto quello che abbiamo avuto dopo.

Con una mossa sciagurata, la Serie A è stata allargata a trenta squadre e resa totalmente territoriale, con tre gironi da dieci: nord-ovest, nord-est e centro-sud, con le squadre sarde messe ad anni alterni a nord-ovest o al centro per via dei collegamenti e l’Accademia piazzata in barba alla geografia. I gironi non si incrociano mai tra loro se non per play off e play out.

Il livello e l’interesse del campionato cadetto sono così precipitati vertiginosamente, disintegrando progressivamente un torneo prima di grande interesse e potenzialità.

Una volta portato a termine questo campionato ancora pesantemente segnato dagli effetti devastanti degli anni di covid e saggiamente impostato senza retrocessioni, sarebbe d’obbligo ripensare la formula e vedere la Serie A come un buon investimento per la crescita e la formazione di giocatori italiani.

Personalmente credo che si dovrebbe tornare ai due gironi di A1 e A2 da dodici squadre ciascuno per poi, in un futuro più lontano, valutare un unico girone da dodici, se volessimo davvero ripensare in chiave qualitativa la filiera tra campionato cadetto e massimo campionato in termini di qualità e potenzialità.

Naturalmente questo implica una totale revisione dei campionati italiani che, al netto delle chiacchiere, andrà prima o poi fatta, se non vogliamo continuare ad andare avanti a tastoni e strappi nella formazione e nella crescita di giocatori di livello e ad avere attrattiva e interesse pari a “zerovirgola”.

Nell’immediato, mi accontenterei anche di una revisione della visualizzazione della sezione campionati e classifiche del sito FIR, perchè la parte della Serie A è praticamente una caccia al tesoro!

(Nota: questo articolo è pubblicato anche su https://www.nprugby.it/)

Pioggia, divano, rugby, rugby, rugby!

Sabato 13 novembre, mentre fuori pioveva e mezza Genova era allagata, io ho passato un tot di ore sul divano a godermi tre partite del secondo turno di Autumn Nations Series: Italia-Argentina, Irlanda-Nuova Zelanda e Inghilterra-Australia.

Con me sul divano c’erano i miei gatti, ovvero Artù, Nerone e la principessa Nika, mentre in collegamento da altri divani sparsi per l’Italia c’erano, come di consueto, i membri della pregiatissima giuria TGMS.

ITALIA -ARGENTINA (16-37)

Quella che doveva essere la prima prova del nove per la nuova Italia di Crowley, considerando giustamente poco attendibile il test contro gli All Blacks, si è rivelata purtroppo molto deludente e ha dato nuovamente l’impressione di un’Italrugby specializzata nel passo del gambero: un passetto avanti e poi subito un paio di passi indietro. Nessuno si aspettava miracoli e nessuno si illudeva che ventisette minuti sullo 0-0 contro una Nuova Zelanda in formazione inventata di sana pianta significassero un miracolo ma ci si aspettava di vedere anche a Treviso almeno la stessa “garra” e la stessa efficacia in difesa. Invece gli Azzurri hanno fornito una prestazione scialba e piena di errori e gli argentini hanno piazzato un quasi quarantello quasi senza sudare e senza fare niente di trascendentale.

Si tende spesso ad affiancare Italia ed Argentina, due Paesi lontani ma accomunati dalla latinità ed anche dal “sangue” visto il gran numero di argentini di origine italiana, oltre che legati dal punto di vista ovale dal gran numero di giocatori “albicelesti” che da sempre giocano in Italia e anche in maglia Azzurra. In realtà, le due nazionali di rugby sono lontane anni luce: le separano sei posizioni nel ranking (8 vs 14) ma anche un andamento decisamente diverso nel corso degli ultimi anni.

Nonostante le enormi difficoltà economiche e sociali del Paese, il rugby argentino continua a progredire e a sfornare giocatori di qualità che, dopo la fine dell’esperienza dei Jaguares, sono tornati a fare la fortuna dei principali club europei. Un sistema basato sui club, a cui gli argentini sono legati in modo viscerale, e il rispetto e la valorizzazione del rugby riescono a creare e mantenere un eccellente movimento, nonostante le tante difficoltà.

Proprio da uno dei grandi club francesi arriva Marcos Kremer, un gigante che, dal momento in cui ha segnato contro l’Italia, ha immediatamente colpito la giuria: “Ci ispira crema al pistacchio e passito di Pantelleria, con i suoi sentori di frutti a polpa gialla e miele. Il giovinotto è nato a Concordia, città al confine con l’Uruguay: nomen, omen e infatti ci ha messo tutte d’accordo!”.

Un grande abbraccio allo sfortunatissimo pilone Azzurro Marco Riccioni che ha lasciato il legamento crociato del suo ginocchio sinistro sul campo di Treviso: in bocca al lupo per la guarigione!

IRLANDA-NUOVA ZELANDA (29-20)

Una partita di rugby assolutamente STELLARE tra la numero 5 e la numero 1 del ranking IRB. L’Irlanda non ha sbagliato niente, così come il buon (e bon) arbitro Luke Pierce, già ampiamente apprezzato dalla giuria al 6 Nazioni.

Questa partita finisce dritta negli annali e non solo perchè ogni sconfitta degli All Blacks è un evento: i Verdi hanno dato vita ad una prestazione strepitosa, mostrando di non essersi affatto fatti intimorire dalla Kapa O Pango a loro dedicata dagli avversari. E se gli hanno fatto la Kapa O Pango voleva già dire che gli AB non erano poi molto tranquilli!

Incontrare l’Irlanda al 6 Nazioni sarà una vera goduria… Ma andiamo oltre e preoccupiamoci di questo quando sarà il momento!

Partita meravigliosa e bei soggetti in campo, tra i quali la giuria ha di fatto selezionato… due neozelandesi! Nel senso che James Lowe, ala dell’Irlanda, è in realtà un Maori nato a Nelson che ha scelto di essere eleggibile altrove e ha anche segnato una meta fondamentale proprio contro i suoi compaesani. “Sciolgo le trecce ai cavalli…”: la chioma di Lowe, sciolta subito dopo la marcatura, ha stecchito all’istante la giuria, che cn lui dividerebbe un tortino dal cuore caldo di cioccolato fondente ricoperto di cioccolato bianco fuso. Ci si beve sopra un Erbaluce di Caluso passito DOCG, che sa di erbe aromatiche e mandorla.

Per quanto riguarda gli All Blacks siamo andate su un classico intramontabile: il maturo, fortissimo e fascinosissimo mediano di mischia TJ Perenara, votato ancora prima di toccare palla, mentre guidava la Haka di Dublino. Per lui abbiamo subito puntato su un esotismo caliente con un chutney piccante di mango che la nostra esperta sommelier ha abbinato con un vino nientemeno che dallo stato di Washington, “un riesling morbidissimo ma con una forte acidità, note di idrocarburi e fiori di sambuco appassiti. Insomma, sa di benzina, come TJ quando gioca o conduce la Haka!”.

INGHILTERRA-AUSTRALIA (32-15)

Partita non esaltante e seguita un po’ distrattamente ma apprezzata quel tanto che basta per far esclamare a parte della giuria che “tornando ai tronchi di pino, Eng-Aus è un bosco!”. Molti muscoli e fascino da surfisti per gli Aussie, molti muscoli e relative maglie bianche super stretch per i giocatori della Rosa.

Mentre scrivo, domenica 14 novembre, è in corso Galles-Fiji, è appena finito il primo tempo, il Galles sta faticando decisamente troppo e a noi non poteva sfuggire l’arbitro australiano Nic berry, peraltro abbinato al sempre votatissimo arbitro Ben O’Keeffee, al quale il primo si rivolge come se fosse un suo personale TMO. Con loro c’è anche il giovane e promettente fischietto italiano Gianluca Gnecchi, scelto per questo importante appuntamento internazionale: bravo!

Anche questa settimana non possiamo esimerci dall’inserire un “fuori campo”: dopo Damiano dei Maneskin in Gucci white tocca ora a Matteo Berrettini, uno dei maschi italici più belli del creato, che ha oscurato il sole quando è comparso alla presentazione delle ATP Finals. Lui lo abbiniamo ad una crema spalmabile alla nocciola con pepite di sale grosso, insomma una nutella molto gourmet e di classe, proprio come lui. Per quanto riguarda il vino “è talmente fuori gara che gli dedichiamo un’intera zona di produzione: il Priorat, a sud di Barcellona, suolo vulcanico di quarzo e argilla nera, difficile da coltivare ma che dà vini potenti ed elegantissimi che sono unici, come il buon Matteo”.

Quanta bella gioventù! E zio Nole là dietro che ghigna e sta pensando che li stende ancora tutti!

P.S. Il week end ovale era iniziato venerdì sera con la diretta del “derby d’Italia” Petrarca Padova vs Rovigo, che a Raisport probabilmente ancora credono sia stato Padova-Treviso.

Storie dal paesello: la musica, il talento, la passione, la vita di un musicista d’orchestra!

Io so molto poco di musica e non ho nessuna dimestichezza con gli strumenti musicali: la tragica esperienza del flauto alle medie mi è bastata per capire che non era cosa per me!

Per questo, incontrare qualcuno che, invece, della musica ha fatto la sua vita e nella sua versione più “alta”, ovvero in un’orchestra, non poteva che colpirmi e incuriosirmi. Anche perchè un’orchestra e i suoi musicisti sono una cosa fighissima, così eleganti, quasi solenni, capaci di suscitare emozioni fortissime con la loro musica, di trasportare in altri mondi, di rendere davvero l’idea di quella che si chiama “eccellenza”.

Così ho organizzato una chiacchierata con Davide, classe 1990, fratello della mia amica e storica compagna di pallavolo Laura, di undici anni più grande di lui e a sua volta insegnante di musica e direttrice della banda musicale del paese.

Quando Davide era piccolo, Laura già suonava e frequentava il conservatorio a Milano e ricordo che mi diceva “in casa il più dotato per la musica è Davide, ha un orecchio quasi assoluto e gli viene così facile suonare!”.

Evidentemente aveva ragione, visto che il fratellino oggi, ancora giovanissimo, ha già alle spalle una bella carriera e suona in un’orchestra stabile, la Filarmonica Toscanini di Parma.

La chiacchierata ha preso forma il 1 maggio 2021 davanti a prosecco e “Rodeo” e credo di aver imparato più cose di musica in meno di un’ora che in più di quarant’anni di vita, pur non avendole capite tutte: ecco perchè mi piace tanto parlare con le persone che mi suscitano interesse e curiosità!

Davide suona il corno, uno strumento che ho capito essere piuttosto complesso, anche se aveva iniziato, oltre che con il famoso flauto delle medie (che lui sicuramente suonava meglio di me!), con il pianoforte e, appena arrivato nella banda del paesello, con la tromba. Ma le trombe erano già troppe e mancava un corno e quindi, corno fu!

Spinto dall’insegnante di musica Prof. Magli, a quattordici anni Davide superò l’esame di ammissione al conservatorio di Bergamo, accompagnato da Laura con una 600 Sporting dove il musicista ancora in erba si sdraiò stremato sul suo vestito da sposa, appena ritirato per il matrimonio imminente.

Sette anni di conservatorio con Massimo Capelli, le prime esibizioni e poi, ad un corso estivo, l’incontro con Luca Benucci, primo corno del Maggio Fiorentino, che lo nota e lo invita all’esame di ammissione al conservatorio di Cesena, per due anni di “specializzazione” dedicati, oltre alla continua crescita tecnica, anche a capire e scoprire il mondo e il metodo di audizioni, concorsi e orchestre.

Durante questo biennio arrivano così audizioni (per singole esibizioni, opere o concerti o contratti di breve durata) e concorsi (per posti più stabili): qualche ruolo minore alla Scala di Milano, tanti teatri in giro per l’Italia e poi, a ventitre anni, l’ingresso nell’Orchestra Giovanile Cherubini del Maestro Muti, riservata a grandi talenti Under 30.

“Sono stati tre anni di lavoro intenso e di esibizioni importanti in tutto il mondo: davanti ai reali di Spagna, a principi degli Emirati Arabi, nel Nord Europa, insomma, ovunque e davanti a platee di migliaia di persone. Una grandissima esperienza per un giovane musicista ma, dopo tre anni, ho deciso che era ora di ricominciare cn le audizioni e i concorsi, perchè non volevo adagiarmi in una situazione che, in ogni caso, sarebbe stata solo temporanea”. Capito il ragazzo?

Riprendono le esibizioni in tutta Italia: Bari, Firenze, Bolzano, il Teatro San Carlo di Napoli. Nel mezzo, anche un’audizione nientemeno che all’accademia dei Berliner Philarmhoniker, alla quale si accede solo se invitati e che non può essere ripetuta se va male: “mi hanno detto che avevo suonato bene ma avevo commesso qualche errore, quindi niente da fare, ma non dimenticherò mai l’esperienza di quella sala da concerto e l’emozione di suonare davanti a membri di quell’orchestra!”.

Nel 2017 va in pensione il secondo corno (e ho scoperto che c’è tutta una scienza anche dietro al primo, secondo e così via di ogni strumento, con differenze sostanziali anche nel modo di suonare di uno piuttosto che dell’altro) dell’Orchestra Filarmonica Toscanini di Parma e viene dunque indetto il concorso per sostituirlo. E’ cosa diffusa, a queste prove per i concorsi, che i candidati suonino nascosti da una tenda, di modo che la commissione possa concentrarsi di più e solo sui suoni che sente. Solo nelle prove finali, quando i candidati ormai sono pochissimi, suonano “alla luce del sole”.

“Ho vinto il concorso e la mia vita è diventata pienamente quella di un musicista d’orchestra professionista: facciamo prove al mattino e al pomeriggio, abbiamo il lunedì libero, suoniamo (in condizioni normali, senza Covid) ogni fine settimana, il giorno del concerto o dell’opera facciamo due ore ulteriori di rifinitura, che si chiama “assestamento”, con alcune differenze a seconda del tipo di esibizione e di quello che dobbiamo suonare. La nostra orchestra è composta da 52 elementi ma, se le partiture lo richiedono, possiamo aumentare fino a 70 e più musicisti”.

Durante la chiacchierata ho scoperto mille aneddoti, tantissime nozioni tecniche di cui non avevo idea e moltissime curiosità che fanno parte di una professione ed una vita sicuramente particolari ma che, parlando con Davide che le vive da anni, sembrano al contempo normalissime. Ho sentito parlare di musica citando Mozart e Beethoven non solo a memoria, ma anche con riferimenti che per i comuni mortali sono praticamente arabo, ho scoperto che un corno valido costa circa 7-8.000 Euro, che un buon violino da concerto è sui 20.000 Euro ma ci sono primi violini che suonano strumenti che ne valgono 200.000 e archetti da 20.000. Ho anche scoperto che però, alla fine sono buoni investimenti, perchè non si deprezzano mai. Insomma, se avete 200.000 Euro che non sapete come investire, lasciate perdere case e dipinti: un bel violino e via!

Davide non era convinto della mia idea di scrivere su di lui, perchè “ma mica sono un Berliner!”, ma non serve parlare per forza con un “Berliner” per trovare eccellenza, passione e modestia. Bravissimo Davide!!!

P.S. durante la chiacchierata/aperitivo la ragazza di Davide, Pamela, anche lei del paesello bergamasco e anche lei insegnante di musica, ha cercato di chiamarlo al cellulare più volte: prima sul suo, che era in tasca chissà dove e poi ha messo la modalità volo, poi su quello di Laura e poi anche su quello di Valerio, marito di quest’ultima. Il commento di Valerio a queste telefonate, che hanno creato una situazione piuttosto divertente, è stato un laconico “è un artista”!

Storie dal paesello: una Rasoiata a sorpresa!

Quando si cresce in una piccola realtà succede che, anche se non si frequenta direttamente qualcuno e non si è nello stesso gruppo di amici, di fatto tra coetanei ci si conosce tutti.

Tutti sanno chi sono gli altri, si conoscono nomi e amicizie, si sa dove ognuno va a scuola quando si iniziano le superiori, si sa chi ha fratelli o sorelle e chi sono, e così via.

Ovviamente si sa se qualcuno si sposa, se ha dei figli, se va a vivere altrove, se è andato all’università e, bene o male, anche che lavoro fa.

Così, avevo lasciato Walter, che è due anni più giovane di me, laureato in scienze dell’educazione e occupato nel settore, ovvero in una qualche comunità di sostegno o qualcosa di simile.

Io vivo altrove ormai da quindici anni e, salvo le mie visite periodiche al paesello, quattro chiacchiere e saluti vari, per quanto riguarda le amicizie non strettissime il mio telescopio verso quel mondo sono, inevitabilmente, i social network.

È quindi successo che, qualche tempo fa, ho iniziato a vedere dei post dai quali si intuiva che Walter l’educatore fosse diventato Walter il parrucchiere o barbiere. Finché poi non si sono materializzate anche le tracce di un progetto di apertura di un negozio.

Un’altra delle cose su cui chi è nato e conosce bene un piccolo centro non può sbagliarsi sono i negozi, le attività commerciali: si sa esattamente dove si trovano e si possono elencare praticamente ad occhi chiusi. Quindi ogni novità va inserita in questa mappa mentale.

Ho iniziato a chiedermi come caspita Walter l’educatore fosse arrivato ad una prossima apertura di un negozio “barba e capelli” e gli ho scritto, dicendogli che avrebbe dovuto raccontarmi tutta la storia alla prima occasione, davanti ad un bel bicchiere. Era poco prima che il covid buttasse all’aria il mondo.

Nel frattempo e nonostante la pandemia, seppur in ritardo sui programmi, la bottega è stata aperta, il 13 novembre 2020 e oggi, 2 aprile 2021 io e Walter ci siamo finalmente fatti la famosa (video)chiacchierata, purtroppo senza bicchieri ma contenti in ogni caso.

Così ho scoperto che, a quasi quarant’anni e dopo aver iniziato a tagliare alla buona (ovvero con “la macchinetta”) i capelli ai ragazzi ospiti della comunità dove lavorava e dove non si trovava più molto bene, tra una semplice rasatura e qualche primo ed avventuroso tentativo di sfumatura con le forbici, Walter decise di iscriversi alla scuola serale per parrucchieri, lavorando nel frattempo nella comunità per il primo anno e poi da un parrucchiere per il secondo e il terzo (anno supplementare che serve per poter avere l’abilitazione necessaria ad aprire un negozio proprio: tutte cose che ho imparato pochi minuti fa!).

Trovato il locale e arruolato un team di amici (che, naturalmente, conosco anche io!), ognuno con la sua professione e professionalità, per collaborare alla realizzazione e allestimento del negozio, la “follia” di Walter ha infine preso forma e sostanza diventando “Rasoiata Barba&Capelli”.

Mi piace raccontare storie che mi colpiscono ed incuriosiscono e questa, decisamente, lo ha fatto.

Mi piace doppiamente perché stiamo parlando di un paesino in provincia di Bergamo in tempi di covid, con una linea temporale che prende in pieno anche il tristemente famoso marzo 2020.

A Walter (al quale nessuno o quasi si rivolge chiamandolo per nome ma sempre per cognome, ma faccio finta di no per mantenere un minimo di parvenza di diritto alla privacy!) un grande abbraccio, il mio più sincero in bocca al lupo e, visto che per fortuna ancora la barba non mi cresce, l’appuntamento non da cliente ma per due chiacchiere davanti al famoso buon bicchiere, non appena si potrà!