Road to 6N: l’opinione di Fulvio Giuliani

Fulvio Giuliani, giornalista, per un paio di decenni redattore, voce e poi anche volto dell’informazione di RTL 102.5, ora Direttore del quotidiano La Ragione e opinionista anche per Mediaset e Sky, ha seguito per diversi 6 Nazioni le partite casalinghe dell’Italia con dei collegamenti in diretta e dei contributi dall’Olimpico quando RTL era radio ufficiale della manifestazione. Così ho avuto la fortuna di conoscerlo e di poter vedere all’opera da vicino una vera macchina da informazione e comunicazione, un professionista preparatissimo che, anche se ora non segue più il rugby per lavoro, da grande appassionato di sport continua a seguire anche l’ovale Azzurro. Allora gli ho chiesto un contributo in vista dell’imminente 6 Nazioni 2023 e, come mi aspettavo, ne è venuta fuori un’analisi sintetica ma centrata e ricca di spunti.

“Premesso che non seguo più la nazionale di rugby per lavoro da ormai circa quattro o cinque anni, in quanto appassionato ho comunque continuato a seguire gli Azzurri e quindi non mi sono perso la scorsa stagione, una vera boccata d’ossigeno dopo troppi anni di strategie sbagliate, di sconfitte e di amarezza. 

Vedo un 6 nazioni 2023 complicatissimo e lo dico come una fortuna: ora che l’asticella si è alzata bisogna saper rispondere alla gente, anche a coloro che, e sono la stragrande maggioranza, seguono il rugby più superficialmente, tenendo sempre a mente che il rugby, purtroppo o per fortuna, non essendo il calcio non avrà mai lo stesso tipo di attenzione “a prescindere”. Questo fa la vera differenza tra la bella sorpresa e il confrontarsi con una realtà che attende al varco, la differenza tra dei “parvenus” e dei protagonisti stabili di un movimento sportivo.

Visto che ci siamo già passati, con stagioni importanti come quella che ci ha portato al 6 Nazioni e poi il periodo 2012-2014 che ci aveva (ri)dato un’autorevolezza che poi abbiamo completamente (ri)perso, suonano dei campanelli d’allarme: non basta il miracolo della singola annata in cui batti un grande avversario. Io quest’anno mi aspetto molto, moltissimo.

Non mi lancio in analisi degli avversari e del loro stato di forma perchè non li conosco così bene e quindi non so “dove siamo” rispetto a loro, però mi sono reso conto che una cosa che è sempre mancata finora all’Ovale italiano è stata la capacità di maturare a prescindere dagli avversari, il diventare protagonisti a tutto tondo, andando ben al di là della bellezza di Roma e dell’imponenza dello Stadio Olimpico.

Se l’anno scorso è stato bellissimo e sufficiente per sognare, quest’anno a me non basta: va benissimo celebrare ogni vittoria come se fosse un titolo mondiale, però ormai è finito il momento di cullarsi con le sconfitte onorevoli, anche perchè diciamocelo, nello sport si gioca per vincere ed è giusto che sia così. Quindi sognare sì, ma meno ad occhi aperti.

Poi, sicuramente, lasciar lavorare lo staff, che si assumerà le sue responsabilità, ed avere una programmazione a medio termine perchè lo sport professionistico ai massimi livelli oggi, in tutte le discipline, senza questo semplicemente non esiste”.

(Articolo pubblicato anche sul sito di NPR/Delinquenti e sulla rivista Ovalmente)

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Road to 6N: Italia e Francia viste da Bast Agniel

Bastien, per tutti Bast Agniel, francese, classe 1988, fino al 2019 mediano d’apertura e capitano della Pro Recco Rugby in Serie A, con più di 1200 punti segnati in otto stagioni, quattro semifinali play off e tre finali disputate, è la persona giusta per una chiacchierata su Italia-Francia ma, ancora di più, su Italia e Francia.

Bast, nella prima giornata del 6 Nazioni si giocherà Italia-Francia: come prevedi potrà essere questa partita?

Sarà dura per la Francia perché non è mai una partita come le altre e l’Italia sta crescendo molto, quindi andare a giocare a Roma sarà molto complicato.

Hai guardato le partite dell’Italia a novembre? Cosa pensi dei progressi mostrati dagli Azzurri?

Sì, le ho viste tutte e devo dire che contro l’Australia gli Azzurri mi hanno fatto saltare urlando dal divano per la seconda volta nel 2022 (la prima era stata la partita in Galles dello scorso 6 Nazioni) e devo ammettere che mi sono divertito di più a guardare le partite dell’Italia che quelle della Francia, perché sta giocando un bel rugby con volume e velocità di gioco, quindi molto piacevole da vedere.

Cosa pensi di Capuozzo e delle sue qualità?

È veramente forte, ha una velocità tremenda ma anche una grande capacità di vincere nell’uno contro uno. L’avevo già visto un paio d’anni fa quando in Pro D2 aveva segnato una meta attraversando tutto il campo da solo con Grenoble.

La Francia avanza a tutta forza verso la RWC in casa: pensi possa vincere prima questo 6 Nazioni?

Penso che sarà molto dura perché la Francia arriva già dal “grand chelèm”  dell’anno scorso e quindi è la squadra da battere, in più è l’anno in cui gioca tre volte in trasferta (Italia/Irlanda/Inghilterra), però con questa squadra si può sperare sempre nel meglio.

La Francia oggi è la squadra più forte del mondo?

Non lo so!!! Però penso che se i giocatori chiave sono in forma siamo tra le due squadre più forti al mondo. Di sicuro siamo la squadra che ha più giocatori di livello internazionale, con un bacino di scelta di 50/60 atleti che riescono ad inserirsi in rosa senza grandi problemi.

Chi è il tuo preferito tra i giocatori francesi?

Non ho un giocatore preferito e devo dire che da quando Galthié allena questa squadra amo moltissimo la sua mentalità vincente. Se devo citare qualcuno dico  Antoine Dupont, che quando è in forma fa quello che vuole.

Com’è oggi l’Italia ovale vista da fuori, dalla Francia, da uno che come te la conosce molto bene?

Tanti che in Francia ora mi dicono “cavolo, l’Italia cresce, mi piace vederli giocare!” prima dicevano “bene l’Italia per un tempo ma poi molla e prende 50/60 punti”: adesso, con un giocatore come Capuozzo, con Garbisi e altri che giocano in Francia, vedono che ci sono giocatori di livello internazionale e quindi ritengono l’Italia una squadra che va rispettata perché sta vincendo delle partite e a cui bisogna stare attenti. Anche al livello giovanile è da un po’ che l’Italia cresce e adesso ancora di più: ho guardato Italia-Francia U20  e ho visto bene gli Azzurrini, soprattutto nel primo tempo (con un top Nicola Bozzo, recchelino che ho visto letteralmente crescere, che mi fa molto piacere vedere a questo livello e che ritengo abbia un grande futuro).

A novembre sei stato capitano dei Siluri nella partita di Genova contro Cambridge: come è stata quell’esperienza?

Devo ringraziare chi mi ha dato l’opportunità di vivere questo splendido evento: è stata un’esperienza bellissima, tre giorni perfetti con con giocatori provenienti da ovunque, un bell’ambiente con i giovani della Nazionale U20, simpatici, umili e di ottimo livello ed uno staff tecnico che mi è piaciuto molto e mi ha fatto tornare indietro di quasi quindici anni. L’evento è stato creato alla grande da un gruppo di persone che hanno fatto un lavoro enorme, ho rivisto tanti amici e ci ho giocato insieme ancora una volta, la partita è stata bella, il pubblico si è divertito, abbiamo vinto e ci siamo goduti un super terzo tempo: tutto bellissimo, a parte che mi sono rotto un dito, ma capita!

Hai giocato tanti anni nella nostra Serie A: che ricordi hai del rugby italiano?

Lo seguo ancora, guardo gli highlights del Top10 e i risultati della Serie A e soprattutto quelli di miei amici di Recco: ho passato otto anni in Italia, è stato un periodo incredibile della mia vita e avrò sempre ricordi bellissimi.

Chi vince la RWC?

Spero la Francia: sarà durissima, però sia la Federazione che i giocatori lavorano da anni per questo evento e ci sarà un Paese intero a sostenere i Bleus. Si inizierà con la partita inaugurale contro gli All Blacks e ci sarà anche da battere l’Italia, quindi niente sarà semplice.

(Foto di Fabio Bussalino per Repubblica Genova)

(Intervista pubblicata anche sul sito di NPR/Delinquenti e sulla rivista Ovalmente)

Galles-Italia: quella fuga per la vittoria

La corsa di Ange Capuozzo che lascia di sasso il Galles e lancia Padovani in meta in mezzo ai pali sul filo del fischio finale di Galles-Italia, facendo scoppiare in lacrime per la gioia la quasi totalità degli appassionati italiani di rugby mi ha riportato alla mente il finale del film Fuga per la Vittoria, l’evento inaspettato, glorioso ed emozionante.

Chiusa la divagazione cinematografica, rimane la cosa che mi ha colpito di più di questa vittoria: le lacrime, una volta tanto di gioia. Quelle di chi era in campo, che perdere sempre è difficile, è un macigno, crea pressione e fa piovere critiche, ma soprattutto quelle di chi era davanti alla tv: su facebook si sono immediatamente moltiplicati post e commenti di persone che sono scoppiate a piangere al fischio finale, esattamente come Garbisi e gli altri a Cardiff.

Quando nel 2016 (il tempo vola…) l’Italia vinse a Firenze contro il Sudafrica, scrissi che, al netto di qualsiasi altro discorso o polemica, i tifosi italiani quella vittoria se la meritavano tutta, e ora è la stessa cosa.

Noi appassionati di rugby in Italia dobbiamo ingoiare tante sconfitte e il fatto di sentirci sempre dire: “ah sì, il rugby… ma la Nazionale perde sempre”. Una vittoria ogni passaggio di cometa non cambia gli enormi problemi del rugby italiano ma almeno fa bene allo spirito ed è una piccola ricompensa per la passione e la pazienza, più uniche che rare, dei tifosi italici: nelle lacrime di ieri c’è tutto questo.

Ho guardato il secondo tempo della partita a Milano, in un pub, con amiche e amici “ovali” e qualche altro avventore che guardava distrattamente lo schermo. Sia noi che i telecronisti che gli altri spettatori occasionali eravamo ormai rassegnati all’ennesima sconfitta (sarebbe stata la numero trentasette di seguito al 6 Nazioni), quasi già contenti di essercela comunque giocata al Millenium.

Poi è successo che Ange Capuozzo, 177 cm per 71 (!!!) kg e una bella faccetta da scugnizzo ventiduenne, si inventi un’azione d’attacco che lascia di sasso la difesa dei Dragoni e regali a Padovani un pallone che va solo schiacciato al di là della linea: è la meta del 21-20, ancora da trasformare. Garbisi va sulla piazzola con il peso di un torneo, di una stagione, di una carriera e di un Paese sulle spalle, e non sbaglia: 21-22 e fischio finale.

La partita ha regalato anche uno dei più bei gesti sportivi che meritano di essere ricordati: il Player of the Match Josh Adams, votato, come da prassi, ad una decina di minuti dalla fine della partita e con il Galles che sembrava lanciato verso la vittoria, avvicina Capuozzo che sta festeggiando con la bandiera sulle spalle dei compagni di squadra e fa per consegnargli la medaglia appena ricevuta. Capuozzo lo guarda incredulo, gli richiude la mano, lo ringrazia e lo abbraccia. Ecco, io ho pianto parecchio anche qui.

Nato in Francia, nonni napoletani a cui deve il cognome e la maglia azzurra, Ange gioca nella seconda divisione francese, a Grenoble, la sua città e nome che rievoca nei tifosi italiani uno dei più bei ricordi della storia ovale tricolore: molti parlerebbero di un segno del destino.

Sicuramente è ancora presto, il ragazzo è giovane e ha appena iniziato la sua parabola ascendente, della quale si è subito accorto anche il club più forte e storico di Francia, lo Stade Toulousain, espressione di una delle tante città che oltralpe vivono il rugby fino alle ossa (invidia) e con una valanga di milioni di budget (invidia).

Tutto bene e tutto bello? Quasi, ma non proprio, perchè Capuozzo apre uno squarcio, che andrebbe obbligatoriamente approfondito da chi di dovere, sulle politiche di formazione, crescita e gestione dei giovani ruggers italiani da un decennio a questa parte: il suo fisico è ampiamente al di sotto dei parametri ritenuti validi per scremare i ragazzi dopo la maggiore età, non si è formato nella filiera accademica italiana e gioca all’estero (beninteso che il Pro D2 francese supera ampiamente come livello, budget, competitività e valore il Top10 italiano).

Visto che la mancanza anche solo strettamente numerica di giocatori di alto livello è il problema più grave del rugby italiano, quello da cui scaturiscono le troppe sconfitte e le poche soddisfazioni sia a livello di nazionale che di club, si impone una troppe volte rimandata profonda riflessione su tutto il sistema, perchè non può bastare una vittoria al 6 Nazioni ogni sette anni.

Sette anni sono una vita e nello sport professionistico rappresentano praticamente un’era: non si chiede all’Italia di vincere il 6 Nazioni, ma di vincere partite con una certa continuità sì e dopo vent’anni e fischia di partecipazione non deve essere un’utopia. Non si chiede all’Italia di vincere un mondiale, ma di passare il primo turno sì, perchè qui gli anni sono ancora di più ed è ampiamente ora. Non si chiede all’Italia di arrivare alla vetta del ranking IRB ma di fare passi avanti sì, perchè è ormai stata superata da squadre che onestamente dovrebbe riuscire a tenere dietro.

A proposito di mondiali, la Francia, che procede come un TGV verso la RWC casalinga dell’anno prossimo, ha vinto il 6 Nazioni con annesso grande slam, cioè vincendo tutte le partite: i Galletti fanno paura, sono giovani, fortissimi e si godono, tra i tanti ottimi giocatori, le nidiate che hanno vinto due mondiali U20 di seguito.

Anche la nostra U20 non va male e vince ben più della nazionale maggiore, ma poi non funziona come in Francia e qui si apre un altro squarcio: con quale livello e quali competenze tecniche si trovano ad entrare nel rugby “dei grandi” i giovani transalpini e con quali i nostri? E che livello trovano ad accoglierli da professionisti? E’ chiaro che rugbysticamente tra i due paesi c’è un abisso, ma nel 6 Nazioni ci siamo noi tanto quanto loro e quindi è inevitabile fare accostamenti, con loro e con le altre quattro squadre: onori (e milioni) e oneri di essere nel tier1 e nel torneo ovale più antico del mondo.

Chiudo con una facile riflessione sulle basi della comunicazione, di cui avevo già chiacchierato anche con Davide (Macor) via teams: vincere porta attenzione. L’attenzione porta spazi. Gli spazi significano che parlano di te anche dove di solito non vieni mai calcolato, quindi al di fuori dei canali specializzati. Comparire con una vittoria anche al di fuori dei canali specializzati significa arrivare ad un mucchio di gente in più. Arrivare ad un mucchio di gente in più significa che domani qualche bambino vorrà iscriversi a rugby perchè ha visto Capuozzo festeggiare al tg e che i suoi genitori saranno in brodo di giuggiole per uno sport che gli ha fatto vedere il gesto di Adams. Tanti bambini che si iscrivono a rugby vuol dire che aumenteranno, se poi li si saprà motivare e far crescere, i possibili Azzurri di domani.

Insomma, ho aperto con Fuga per la Vittoria e chiudo con La Fiera dell’Est…!

(Nota: questo articolo è pubblicato anche su https://www.nprugby.it/)

(Nota: foto dal web)

Questo strano 6 Nazioni che…

Domani, sabato 6 febbraio 2021, inizia il 6 Nazioni, il primo (e speriamo anche l’ultimo) segnato per intero dalla pandemia di covid-19: si gioca tutto (o almeno così ci si augura) come da normale calendario ma senza pubblico.

E il 6 Nazioni senza pubblico e senza contorno è sicuramente un torneo a metà: niente stadio, niente villaggio del terzo tempo, niente trasferte, niente tifosi stranieri che invadono e colorano Roma (e che si bevono le scorte di birra di un anno).

Avremo le nostre quindici partite, ma ci mancherà tutto il resto. Nonostante questo, per gli appassionati di rugby oggi è comunque una vigilia, anche se non la si passa a Roma con le gambe sotto ad un tavolo insieme ad amici ovali di ogni dove (sigh…): ci penso da tutta la settimana, al primo week end di 6N!

Quindi, impegni e appuntamenti sono stati rigorosamente organizzati in modo da non sovrapporsi alle partite, il divano è pronto, il frigo è ragionevolmente pieno, i miei gatti ancora non lo sanno ma passeremo il sabato pomeriggio insieme sul divano, con un più breve bis anche domenica!

Inizia un 6 Nazioni che è una festa, come sempre lo è per gli appassionati di rugby, ma senza la Festa, davanti alla tv a guardare stadi desolantemente vuoti e silenziosi, senza tifo nè colori. E allora ancora di più volano i ricordi, i momenti che ognuno di noi ha vissuto al, per e durante il 6 Nazioni, a casa, a Roma, a Parigi, Londra, Dublino, Cardiff o in ogni dove.

Oggi ho avuto uno scambio di battute su facebook con un ex arbitro ovale che da anni vive negli USA e per lui ITA-FRA sarà la colazione (ore 8.15 am) ma sarà, idealmente, sul solito enorme divano dove ci accomodiamo tutti noi appassionati quando c’è il 6N in tv.

Se ripenso al 6 Nazioni scorso, mi sembra passato un secolo e mi sembra un altro universo, benché fosse stato interrotto ma, al tempo stesso, mi sembra ieri: l’Olimpico, la giornata di sole, i tifosi, le mie amiche, la tribuna stampa, gli inni, il cielo di Roma sopra lo stadio, la vita da rugby.

Quella vita da rugby che per me è sospesa da allora, con la Serie A dei miei amati Squali mai più ripartita, ad oggi, da gennaio 2020. A Roma, quel giorno di febbraio, quando ancora si pensava che il covid fosse solo roba da cinesi e poco altro, si rideva, si tifava, ci si abbracciava. E si pensava che, finita la tradizionale pausa per il torneo, tutti i campionati sarebbero ripresi come sempre, che le nostre vite sarebbero continuate come sempre.

Invece no.

Buon 6 Nazioni a tutti, nonostante tutto: godiamoci il nostro mese e mezzo di rugby e stiamo ancora più vicini, sul nostro grande divano virtuale, mentre aspettiamo che il mondo e la vita di ognuno di noi, fuori e dentro campi e stadi, tornino a fiorire dopo un troppo lungo inverno.

NOTA: la foto è stata da me spudoratamente rubata dalla pagina facebook della cara Giulia Mastromartino!

Sconfitti e festanti: le partite dell’Italrugby

Sconfitti e festanti: il paradosso delle partite dell’Italrugby, con il contorno che oscura del tutto l’evento. Riflessioni da inviata sul campo per i Pirati del rugby, sul cui sito www.rugby-pirates.com compare questo stesso scritto, insieme a molti altri contenuti.

Non è facilissimo spiegare cosa sia davvero una partita dell’Italrugby all’Olimpico. Non lo è perché si tratta di cercare di spiegare il motivo per cui decine di migliaia di persone decidono di andare a vedere una partita di una squadra che vince praticamente ad ogni passaggio di cometa.


Facendo però un giro attorno allo stadio già da tre ore prima dell’incontro, si inizia ad intuire qualcosa, e si formulano sia pensieri molto positivi che un po’ amari.


Una partita di rugby dell’Italia è, fondamentalmente, una festa: nessun problema di sicurezza, birra, amici, sorrisi, musica, foto e abbracci con i tifosi avversari, il clima di Roma solitamente dolce (neve del 2012 a parte!), i ritrovi con amici di ogni parte d’Italia, un divertimento sicuro anche per i bambini, e così via.


Bene, tutto bello e positivo, ma la partita dove si colloca? Ecco, qui nasce il problema. Un problema che, però al tempo stesso, è diventato una forza ed anche un salvagente. La partita è solo un accessorio, è in secondo piano rispetto alla festa.


Questo fa sì che, con buona pace dei tanti che non riescono proprio a capire come sia possibile, una Nazionale che perde un gran numero di partite e che rimedia anche figure non proprio bellissime, riesca ancora a portare allo stadio un gran numero di persone. E dire che anche lo stadio in questione non è proprio amatissimo: la visuale non è granché, è fin troppo grande e dispersivo, non è uno stadio “da rugby”.


Però è diventato, dal 2012 ad oggi, un perfetto stadio “da festa”: difficile eguagliare le statue dello Stadio dei Marmi e il Foro Italico come cornice per il Villaggio del Terzo Tempo, per il prepartita di festa dei tifosi di casa ed ospiti.


È, per molti versi, una sorta di miracolo ma, al contempo, è qualcosa di estremamente negativo sportivamente parlando, perché non si tratta di partite di beneficenza ma di incontri di un importantissimo torneo internazionale, dove i risultati contano eccome.


E il risultato, anche al termine di questa Italia-Scozia, è stato francamente deprimente, così come la partita: indubbiamente brutta la seconda e decisamente orrido il primo (0-17), ma la festa non è stata intaccata minimamente, con i concerto dei The Kolors, la birra, le risate, gli amici, la bellezza di Roma, il clima mite, etc etc.


54.349 spettatori (numero ufficiale) che, a parte qualcuno, hanno istantaneamente archiviato la brutta sconfitta come un qualcosa di abituale/inevitabile ed un dato del tutto trascurabile nella dinamica della giornata di festa. Peccato che, in teoria, l’evento del giorno fosse proprio la partita, un incontro del 6 Nazioni, un appuntamento sportivamente importantissimo.


Franco Smith, non contato tra i 54.349 ma, purtroppo per lui, comunque presente, la festa, invece, proprio non sa dove sta di casa: arriva in sala stampa scuro in volto e con la faccia di uno che vorrebbe essere ovunque tranne che lì. Cerca di schivare le facili bordate dei giornalisti e lo fa provando ad addolcire la pillola, difendendo a spada tratta la sua squadra nonostante una prestazione francamente inguardabile. Si può dire che siamo un po’ stufi di dichiarazioni come queste?


Anche Capitan Bigi in sala stampa aveva l’espressione di uno che avrebbe preferito essere seduto su un nido si formiche rosse piuttosto che lì dove stava. Alla domanda sul breakdown ha risposto com sincerità, ammettendo le responsabilità azzurre su una fase di gioco che è stata resa troppo redditizia per la Scozia.


Facciamo che preghiamo che il miracolo della festa che se ne frega delle partite duri ancora il più a lungo possibile.