Pochi giorni fa sono stata a vedere Verona-Medicei di Top12 e non posso non scrivere due righe su quel che ho visto, oltre ad una bella partita: l’impianto strepitoso costruito dalla proprietà del Verona Rugby, che lascia veramente a bocca aperta!
Una struttura realmente incredibile e certamente unica nel panorama non solo ovale ma sportivo in generale in Italia: una concezione molto USA, una struttura polifunzionale e pensata per fare soldi oltre che servire al suo scopo di stadio. Moderno, bello, curato, un bar ristorante che sembra la lobby di un grande albergo, marmi, vetro, luce, orchidee, legno. Al secondo piano (!), la club house per il terzo tempo: enorme, con un altro bancone lunghissimo del bar e tantissimi tavoli. Quattro campi in erba, tribuna in parte coperta su quello principale (forse l’unico appunto potrebbe essere una capienza che poteva essere pensata più in grande), dentro, sotto alla tribuna, una palestra enorme e modernissima ed un campo in sintetico da calcetto, per allenarsi al chiuso. Veramente impressive, per dirla all’anglosassone.
Mi è piaciuto? Certamente sì, però…
… l’ho trovato persino “troppo”! E’ chiaro come dietro alla costruzione di un impianto del genere ci siano un’idea ed un progetto ad ampio respiro e a lungo termine ma, ad oggi e doppiamente per chiunque sia abituato a frequentare campi da rugby, sembra davvero “oltre” e, forse, come detto, anche troppo. Nessuna società in italia può vantare attualmente un impianto del genere, neanche le due franchigie che, seppur abbiano begli stadi e ottimi complessi dove allenarsi, non hanno qualcosa di così moderno e proiettato verso il futuro ma anche verso una concezione di impiantistica sportiva molto “USA”. L’unica cosa simile che mi viene in mente in Italia, ovviamente in grande, è lo Juventus Stadium, accomunato al “Payanini Center” veronese prima di tutto dal fatto di essere nato e di essere stato pensato e costruito come impianto di proprietà della società, quindi non una struttura comunale in gestione, in affitto, etc, ma uno stadio da gestire in modo “aziendale”. Se penso all’estero, penso allo stesso modo a stadi di proprietà di grandi realtà sportive, ad esempio nel Regno Unito e, naturalmente, negli USA, la cui figura dell’ “owner” nello sport è stata la prima che mi è venuta in mente a Verona.
Nel rugby italiano può funzionare? E’ una scommessa che verrà vinta? Di sicuro, chi l’ha pagato e fatto realizzare si sarà fatto tutte le dovute considerazioni economiche, gestionali, etc, facendo certamente anche una scommessa non da poco. Quella che forse è stata un po’ trascurata è la “sfera affettiva” che, nel rugby, anche nel XXI secolo, riveste sempre un ruolo molto importante. Un ruolo che, e nessuno dovrebbe mai dimenticarlo, dalla serie C2 alla Nazionale, continua a stare alla base della palla ovale italica: chiunque bazzichi il rugby sa perfettamente che i soldi e i grandi nomi, senza attaccamento e senso del gruppo, fanno fare poca strada, mentre le budella messe in campo anche quando c’è poco altro, possono ancora fare meravigliosi piccoli e grandi miracoli sportivi. Trovare la quadra tra desiderio di progredire, investimenti, professionismo, passione e “affettività” non è facile, ma ci sono realtà che, soprattutto grazie a storia e tradizione, oltre a tanta intelligenza, ci riescono.
A questo proposito, credo che, intanto, qualcosa di molto intelligente a Verona lo abbiano già fatto: creare un’accademia interna per la crescita dei giovani talenti che, peraltro, possono usufruire delle fantastiche nuove strutture. E’ probabilmente questa la cosa che segna, ancora più dello stadio, una novità forse epocale nel rugby italiano e che proietta subito la mente alle accademie dei grandi club internazionali. Non credo proprio sia un caso la scelta del nome per il nuovo impianto: “Payanini Center” con, ben in evidenza, il nome della proprietà (owner e sponsor) e il fatto che si tratti non di uno stadio ma di un centro, di un unico complesso, di un “tutto”.
In bocca al lupo al Verona Rugby per questa scommessa che, in base a come andrà, porrà sicuramente delle domande e delle questioni a tutto il sistema del rugby italiano.