Nicola Bozzo e la strada da Recco a Perpignan

Nicola Bozzo, classe 2004, secondo centro, ha mosso i suoi primi passi nella Pro Recco Rugby ed è appena approdato alla categoria “Espoirs” dello storico club francese di Perpignan: il suo è un esempio di quello che può essere il percorso di un giovanissimo ricco tanto di talento quanto di passione e voglia di impegnarsi per vivere il suo sogno ovale e per provare a trasformarlo in qualcosa di importante.

Inutile dire che me lo ricordo piccolino, quando iniziava a correre con un pallone in mano sul campo di Recco, quindi fare questa piccola intervista mi è piaciuto doppiamente.

Nico, quale è stato fino ad ora il tuo percorso nel rugby, in Italia e all’estero?

Ho iniziato a giocare a cinque anni nella Pro Recco e sono rimasto in biancoceleste fino all’U14, quando ho superato il provino per l’Academy di Verona, che era appena nata, e quindi mi sono trasferito là. Durante quell’esperienza ho partecipato ad un campus estivo dei Leicester Tigers e sono stato selezionato per fare poi una seconda settimana in Inghilterra, al termine della quale mi è stato proposto per l’anno seguente di andare a studiare e giocare lassù. Inutile dire che ho accettato subito e a settembre del 2020 sono partito per la Sedbergh School, vicino al confine con la Scozia: l’inizio è stato a singhiozzo a causa delle varie quarantene dovute al covid, quindi la mia vera stagione inglese è stata poi quella 2021/2022, nella quale ho giocato a quindici fino a dicembre e poi a sette da gennaio ad aprile e anche a dieci per completare la stagione. In Inghilterra la scuola superiore finisce un anno prima e quindi mi sono trovato a dover decidere come proseguire il mio percorso e sono felicissimo che si sia presentata l’opportunità della categoria Espoirs di un grande club come Perpignan, dove mi sono appena trasferito.

Quali sono stati gli aspetti più positivi e quali le difficoltà della tua esperienza inglese?

Sicuramente un aspetto molto importante è stata la possibilità di imparare bene l’inglese ma, soprattutto, il dover imparare ad adattarmi, l’uscire dalla mia zona di comfort e dover reagire, facendomi rendere conto delle mie reali capacità e potenzialità. Dal punto di vista tecnico e tattico ho avuto la possibilità di misurarmi con altri tipi di gioco e, dal punto di vista umano, ho fatto tantissime nuove amicizie, ho conosciuto ragazzi di altri Paesi e anche questo è sempre un grande arricchimento. Le maggiori difficoltà sono sicuramente legate al periodo iniziale in Inghilterra, quando conoscevo poco la lingua e ho dovuto imparare e capire le dinamiche di una vita completamente nuova e diversa ma fortunatamente le ho superate abbastanza in fretta, anche grazie al fatto di essere l’unico italiano e dovendomi quindi per forza sforzare sempre al massimo per farmi capire ed inserirmi. Aggiungo che per me, nato e cresciuto al mare in Liguria, non è stato facilissimo neanche l’impatto con il clima e, da buon italiano, con il cibo di quella parti, ma bastano pochi mesi e ci si abitua, inserendosi bene nella nuova vita.

Rispetto alla realtà italiana, cosa trova in più un ragazzo che come te decide di andare a formarsi all’estero?

Prima di tutto, trova una maggiore competitività: in scuole come la Sendbergh ci sono ragazzi provenienti da tutto il mondo e la concorrenza per un posto in squadra è sempre tantissima, ci si gioca tutto ad ogni singolo allenamento e questo spinge a dare sempre il massimo. Inoltre si acquisisce un’esperienza che altri ragazzi non hanno e che può rendere più facile giocare anche in altre realtà con un gioco ed un’intensità simili.

Quali sono le tue prime impressioni su una realtà storica del rugby francese come Perpignan?

Sono arrivato solo da poche settimane ma ho trovato uno staff davvero di altissimo livello, con una continua e assoluta cura del dettaglio sotto ogni aspetto, sia in campo che fuori. Sono stato accolto benissimo e anche l’organizzazione degli aspetti legati all’alloggio e alle altre varie questioni del vivere qui è praticamente perfetta. Ora non mi rimane che imparare il francese, anche se lo vedo più ostico per me!

Negli Espoirs con te ci sono altri ragazzi italiani e di altri Paesi?

Sono l’unico italiano e, ovviamente, la grande maggioranza dei miei compagni è francese, ma c’è un ragazzo arrivato dalla Georgia e ce ne sono diversi dalle isole del Pacifico.

Come sarà strutturata la tua stagione?

L’11 luglio abbiamo iniziato un primo blocco di tre settimane di preparazione atletica, poi una settimana di riposo e poi sotto con altre tre settimane in cui giocheremo tre tappe del torneo “Super Seven”, a Perpignan, La Rochelle e Pau, mentre per chi non verrà inserito nella squadra Seven ci saranno tre partite a quindici. La prima settimana di settembre ci riposeremo e poi inizierà il campionato, la cui stagione regolare durerà fino a metà maggio, seguita dalle fasi finali per il titolo.

Si possono fare moltissime riflessioni leggendo queste parole che sembrano arrivare da Marte ma che invece arrivano da mondi vicinissimi. 

P.S. Ho appreso dell’esistenza del rugby a dieci, che davvero non conoscevo: chiedo scusa per l’ignoranza e sono contenta di aver imparato una cosa nuova!

(N.B. L’intervista verrà pubblicata anche nel numero di agosto della rivista “Ovalmente” della premiata ditta NPR-Delinquenti Prestati al Mondo della Palla Ovale)

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Coppa Italia, rugby 7s e… peli di gatto

Stamattina ho letto, sul blog ovale “Il Nero il rugby”, uno scritto che poneva l’accento sulla mancanza di appeal del Continental Shield e della Coppa Italia, entrambi disputati nel week end appena passato. Della “terza coppa europea” so pochissimo, quindi lascio analisi ed opinioni ad altri e mi concentro sulla Coppa Italia, fu Trofeo Eccellenza.

Coinvolge 8 squadre del Top12 (fu Eccellenza) che si incontrano suddivise in due gironi all’italiana da 4, creando un palese doppione del campionato che, obiettivamente, non sembra servire a nessuno. Le altre quattro squadre, quelle ammesse alle semifinali di campionato nella stagione precedente, giocano lo Shield.

Insomma, quando si gioca questa Coppa Italia sembra una giornata di campionato ma non lo è e sembra avere l’unico scopo di tappare i buchi di calendario per chi non è impegnato in altra competizione. Peraltro, per qualche ignoto motivo, anche quando non esisteva lo Shield e dopo che nessuna compagine di Eccellenza partecipava più a coppe europee, sostituita da Treviso e Zebre (o chi per esse) in versione Celtica, il campionato si è sempre fermato nei week end delle coppe.

In questo panorama si innesta una domanda che io mi faccio ormai da qualche annetto: perchè la Coppa Italia, invece di questa cosa inutile che è ora, non viene sfruttata per giocare a 7s? E, davvero, non riesco a trovare una risposta convincente.

Il 7s deve far venire proprio tanto prurito e lacrimare gli occhi, perchè, nonostante sia specialità olimpica, in terra italica anche una competizione che sembrerebbe fatta apposta per far misurare i giocatori con la disciplina e far provare sia a loro che al pubblico una vera competizione di 7s, peraltro per club esistenti e non selezioni o altro, viene invece mantenuta a 15, creando solo un noioso doppione del campionato del quale tappa i buchi di calendario.

Federazioni ovali di ogni dove, incluse isole tropicali e svariate Nazioni dove il rugby esiste a malapena, quando il 7s è diventato olimpico si sono lanciate nella sua promozione e fatto sforzi per mettere su squadre e partecipare a tornei e qualificazioni, tanto che, a Rio 2016, olimpiade d’ingresso del 7s, hanno partecipato alla competizione, dopo essersi qualificate, sì Nuova Zelanda, Gran Bretagna, Sudafrica, Argentina, Australia, Francia e Figi (che ha poi vinto, davanti a GB e SA), ma anche Kenya, Giappone, Stati Uniti (sempre ben sintonizzati quando c’è da guadagnare con lo sport) e Spagna (!) nel torneo maschile e NZL, AUS (che ha vinto, davanti a NZL e Canada), GB, FRA e Colombia (!), Canada, Kenya, Giappone, USA, Figi e Spagna (anche qui!) in quello femminile.

Olimpiadi = attenzione = diffusione = pubblicità = sponsor = soldi. Inoltre, il 7s è una specialità ovale di più facile accesso anche, ad esempio, nelle scuole, ed anche di più facile fruizione da parte di un pubblico non specializzato. Non sembra difficile, eppure…

… eppure, nel 2020 arriva un’altra Olimpiade ma il 7s continua a sembrare un allergene peggio del pelo di gatto. Miao.