Il rumore di chi non c’è

38.700: è questo il numero che fa più rumore, dopo Italia-Galles, seconda giornata del 6 Nazioni 2019. Un numero di cui si parla molto di più rispetto al punteggio, di solito tema centrale di una partita di qualsiasi sport.

Italia-Galles è finita 15-26 e, all’Olimpico di Roma, gli spettatori sono stati 38.700, di cui circa 5.000 gallesi, calati nella Capitale per un week end di dolce vita e dolce clima: è il dato di pubblico più basso da quando l’Italia del rugby ha iniziato a giocare in questo stadio, nel 2012. Da allora, troppe sconfitte: c’è poco da fare.

La fine di quello che era stato definito, a ragione, come “miracolo”, cioè il grande seguito della Nazionale ovale nonostante i non esaltanti risultati, si era vista già a novembre durante i test match, con numeri di pubblico in calo e con l’atmosfera, oltre al risultato, di ITA-NZL.

Il 6 Nazioni è un grande evento sportivo, che investe in egual misura l’aspetto sportivo e quello di marketing, ancora di più in Italia, dove l’ovale nazionale, inteso come campionati e squadre, è del tutto ignoto ai più: una volta l’anno, su qualche giornale e sito non specializzato e in alcuni spot pubblicitari, spuntano nozioni ed immagini di rugby, con il trionfale annuncio degli “Azzurri in campo nel 6 Nazioni” e relativo corollario di terzo tempo, birra, tutti amici, etc etc.

Benissimo. Ma… “tanto l’Italia non vince mai!” sentito da colleghi, amici, tassisti, parenti e conoscenti è un qualcosa che tutti conosciamo fin troppo bene.

Il 6 Nazioni diventa dunque un’arma a doppio taglio: si vende come evento di grande rilievo, quale è, ma questo fa anche sì che, in quanto unica “cosa” di rugby che esce dalla ristretta cerchia di praticanti e appassionati abituali, un pubblico più vasto ne senta parlare ma, quello di cui sente parlare durante quel mese e mezzo ogni anno, sono tante sconfitte.

E così, alla fine, è successo: solo 38.700 persone, circa 33.700 al netto dei gallesi in trasferta. Perché sì il terzo tempo, la festa, le foto con i tifosi avversari tutti colorati e pittoreschi, il week end a Roma e tutto quanto, ma uno che va allo stadio vorrebbe anche veder vincere. Anzi, ci va se spera di poter vedere vincere. Soprattutto se è uno spettatore occasionale, uno che non segue il rugby con costanza ma passa con piacere un pomeriggio allo stadio, a vedere qualcosa che non sia calcio, quando c’è il 6 Nazioni.

Ecco, qui si è rotto il giocattolo, insieme al miracolo: tanta gente ha perso le speranze di vedere l’Italia vincere, ha imparato a dare per scontato che l’Italia perderà. E se ne sta a casa.

L’erosione ha infine raggiunto anche la pazienza e la passione di chi il rugby lo vive tutto l’anno e tutta la vita e, così, anche tantissimi che non avevano e non avrebbero mai mancato l’appuntamento, si guardano le partite dell’Italia in tv, comodi, gratis e incazzandosi magari un filino meno. E questa è la cosa veramente drammatica.

Il Flaminio era diventato piccolo, ma l’Olimpico ora è diventato enorme.

Tutto questo non è aiutato, come viene sempre più messo in evidenza, neanche dall’impianto: lo stadio ha la pista per l’atletica e le curve che si sviluppano “in orizzontale”, lontanissime dal campo. Insomma, la visuale non è ideale e arriva fino ad essere pessima in curva.

Citatissimi, come altro fattore importante nella questione dei 38.700 spettatori, sono i prezzi dei biglietti: vedere l’Italia del rugby non è economico e i prezzi sembrano inevitabilmente diventare giganteschi con il peso delle sconfitte, e con i problemi di visuale di cui sopra.

Nelle altre cinque nazioni i biglietti costano, a dire il vero, assai di più, ma gli stadi sono migliori, alcuni sono dei veri templi del rugby (insomma, dei Maracanà dell’ovale) e lì si può contare su delle fondamenta di tradizione, diffusione e organicità (intesa come il percepire un rugby nazionale nel suo “tutto”) ben diverse e su una percezione completamente diversa dell’evento-partita di rugby. Chi non ha mai detto o non ha mai sentito dire “vorrei tanto andare a vedere una partita in Galles o in Irlanda o in Scozia, ma non contro l’Italia!” oppure “voglio andare a Twickenham!”?

Che fare? La tradizione si costruisce in decenni e secoli, ma le vittorie, con cui si fa anche la tradizione, vanno costruite giorno dopo giorno e partendo da assai lontano dal prato e dal terzo tempo dell’Olimpico.

Il rugby da noi è di fatto uno sport minore, mentre il 6 Nazioni è un torneo maggiore, nato per quattro, diventato per cinque e poi allargato a sei. Mai come quest’anno, ci sembra di guardare un 5+1 Nazioni, e fa malissimo: 30.000 seggiolini vuoti lo gridano forte.

Le donne sono convinte che partorire sia il dolore più intenso solo perché non hanno mai visto perdere la loro squadra nel Sei Nazioni. (Detto inglese)

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Rugby and more: gnocchi in salsa… 6 Nazioni!

WARNING: il contenuto di queste righe è assai poco tecnico e molto estetico.

Con l’approssimarsi del primo week end del 6 Nazioni 2019, tra chiacchiere e qualche post è uscita fuori in tutta semplicità l’idea di rimettere in qualche modo in piedi il mood “camioniste”, cioè il genuino apprezzamento, da parte di donne appassionate di rugby, anche di una parte meno tecnica delle partite ovali, ovvero, sintetizzando, lo gnocco.

Insomma, sui campi da rugby bei figlioli e fisici notevoli abbondano e, naturalmente, più alto è il livello e più è comune poter ammirare aitanti e baldi giovani simili quasi a delle statue e strabordanti di appeal virile.

Dunque, una parte delle vecchie Camioniste di rugby.it, eccezionale esperienza umana e sociologica che in futuro meriterà certamente uno spazio dedicato in questo blog, insieme ad altre amiche conosciute negli anni sempre grazie al rugby, sono state chiamate a raccolta in una chat di gruppo su whatsapp, inaugurata giusto giusto venerdì 1 febbraio, per l’inizio del torneo. Titolo della chat: TGM, ovvero The Gnocco of the Match. Immagine del gruppo: un muscoloso torace di rugbyman (per la cronaca, appartenente al tallonatore sudafricano Craig Burden), senza la testa, solo il torso e i pantaloncini.

Quello che segue è il frutto di qualcosa come 1.134 messaggi in chat in 48 ore!

FRANCIA-GALLES (19-24) (primo tempo 13-0). I Galletti, per tradizione, dal punto di vista estetico hanno sempre dato grandi soddisfazioni: mica per niente sono gli inventori del calendario dei Dieux du Stade! Le nuove leve, purtroppo, non sono all’altezza di chi li ha preceduti ma, per fortuna, tra i Bleus resistono ancora alcuni nati negli anni ’80 capaci di ispirare notevoli pensieri tra le signore: MAXIME MÉDARD, classe 1986, affascinante sia in versione Wolverine che senza basettone, YOANN HUGET, classe 1987, sangue francese e brasiliano e ispirazioni di fontane di cioccolato, e LOUIS PICAMOLES, statua greca col numero 8 sulle spalle, classe 1986. Tra i Galletti ha attirato parecchio l’attenzione anche il fascino esotico (francese della Nuova Caledonia) del gigantesco seconda linea Sébastien Vahaamahina: molto più facile farci pensieri impuri che ricordarsi come si chiama! I Dragoni, invece, per tradizione non sono proprio bellissimi, diciamo, però, da quando hanno portato il mondo a conoscenza dell’esistenza di Leigh Halfpenny (anche detto “Mezzamonetina”), meritano sempre di essere osservati con attenzione ed infatti, a vincere, nelle segnalazioni di apertura di questo 6 Nazioni, sono stati DAN BIGGAR, che ha suscitato desideri di ricopertura con caramello salato (sempre che resti fermo, perché se si muove come quando calcia, non si riesce a centrarlo e il caramello finisce per terra) ed il primo classificato assoluto della votazione, JOSH NAVIDI, con tutti i suoi testosteronici dreadlocks al vento e il suo notevolissimo… naso.

SCOZIA-ITALIA (33-20) (primo tempo 33-3). Contro ogni previsione, qui la votazione l’ha stravinta… l’arbitro! Il Sig. LUKE PEIRCE, gallese, anni 31, all’esordio nel 6 Nazioni si è subito imposto nel panorama dello gnocco ovale! Alle spalle del direttore di gara, molto votato il pilone scozzese ALLAN DELL: archiviate, ma non senza un po’ di nostalgia, le prime linee de panza e sostanza, qui ci siamo trovate davanti una specie di bronzo di Riace con un bicipite grande quanto tutta Edimburgo ed un faccino da attore di soap opera. Subentrato dalla panchina ma, non per questo, sfuggito ai nostri attentisismi occhi, il numero 23 Scottish CHRIS HARRIS, un centro che porta a spasso sul campo il suo importante ciuffo e tutto il bendiddio che madre natura gli ha dato. P.s. A proposito di grandi (molto grandi) doni di madre natura, Sean Lamont resta sempre nei nostri cuori, quando si parla di Scozia! Languono, come il gioco visto in campo, le nomination azzurre, con una citazione solo per il massiccio centro genovese TOMMASO CASTELLO. Un plebiscito, invece, per un italico maschio non in campo ma in studio: DANIELE PIERVINCENZI, solida certezza di gnocco ben condito da assaporare davanti alla tv.

IRLANDA-INGHILTERRA (20-32) (primo tempo 10-17). Nella partita principale di giornata, e più attesa del torneo, ha fatto faville, in campo ed anche nella votazione ormonale, il numero 13 inglese HENRY SLADE, seguito dal suo estremo ELLIOT DALY, un altro rosso che, insieme al principe Harry e a Michael Fassbender, fa schizzare a un milione le quotazioni dei maschi “ginger”. Il premio per l’ormone di mischia lo vince a mani basse il numero 5 inglese GEORGE KRUIS, un altro bronzo di Riace finito a spingere infilando la testa dove nessuno vorrebbe metterla. Ai nostri lestissimi occhi non è sfuggito neanche il seconda linea di ricambio COURTNEY LAWES, in tutti i suoi 201 cm di esotica gnoccaggine. Sotto tono, sia in campo che nello gnocco-meter, i verdi d’Irlanda, forse abbattuti anche dal colore (“chi di verde si veste della sua beltà troppo si fida”, dice un vecchio detto), non hanno suscitato grosse impennate ormonali tra la giuria, ma sono stati comunque meritatamente nominati l’estremo ROBBIE HENSHAW e il numero 9 CONOR MURRAY, discreti assaggi di gnocco al trifoglio.

Come Sir Jonny wilkinson, comunque, non ne fanno più: giudizio unanime!

Per avere energie a sufficienza per concentrarsi così tanto, l’esimia giuria, dislocata geograficamente dalla Norvegia a Palermo ed anagraficamente dai 10 ai 60 anni, ha magnato come se non ci fosse un domani, tutto rigorosamente macrobiotico: bigoli al ragù alla barbera, risotto con crema di formaggi e piselli, pasticcio di carne, arrosto, gnocchi tonno e paprika, spaghi vongole e bottarga, goulash, pizza bianca e mortazza, paté di tonno e ricciola home made e financo bastoncini Findus.

A fine torneo, rigorosamente di giovedì, verrà stilato il 15 ideale del 6 Nazioni 2019, perché “Siamo camioniste mica per caso ma per naso!” (Cit.)

P.s. “Sotto i nostri nasi ci sono cuori che battono davvero per il rugby: quello sano, buono, vero”. (Cit.)

P.p.s. “La gnoccaggine è come la fortuna: cecata”. (Cit.)

Pensieri e pronostici di 6 Nazioni

Riprendo le righe che avevo scritto a inizio gennaio e le rinfresco, visto che siamo arrivati alla settimana 28 gennaio-3 febbraio sulla cui pagina del mio planner mi ero segnata, fin dal momento dell’acquisto, quanto visibile nella foto: “INIZIO 6N!” (e ben evidenziato!).

Come avevo già scritto tempo fa e riportato anche in questo blog (qui: Partiamo dal 6 Nazioni…), per un appassionato di rugby il mese e mezzo del 6 Nazioni è un periodo unico e sacro, un enorme divano condiviso dove guardare le partite, commentarle, chiacchierarne, sentirsi tutti vicini anche se si è lontani.

Personalmente, neanche la RWC mi piace e mi emoziona quanto il 6 Nazioni: il mese mondiale è bellissimo, certo, ma non è la stessa cosa. E’ più dispersivo, i fusi orari possono essere complicati e il fascino non è lo stesso.

Dal 2012 al 2018 non mi sono persa neppure una partita all’Olimpico, tutte da volontaria ai media, a partire dall’ITA-ENG con la neve, prima partita in assoluto in quello stadio. Nonostante questo, la prima immagine che mi viene in mente se penso al 6N è quella del divano. Al calduccio in casa, davanti alla tv, tazza di the (ovvimente la mug di Nigel Owens!), patatine 1936, fetta di pandoro comprato tardivamente apposta per il the (esiste qualcosa di più buono da gustarsi con una tazza fumante?), divano, gatti, relax, tv accesa sulle partite del torneo e smartphone in mano per commenti live su social e chat, come se fossimo tutti seduti sullo stesso divano.

Una cosa particolare credo sia il fatto che questo sentire, questo essere “avvolti” dal 6 Nazioni che fa sì, tra le altre cose, gli appassionati organizzino i week end in cui si gioca in base alle partite ed agli orari delle stesse, sia del tutto indipendente dalle prestazioni dell’Italia. Realismo? Rassegnazione? Forse per alcuni sì ma, per la maggior parte di noi, credo si tratti “semplicemente” di passione: la passione per il rugby, che va oltre a tutto il resto.

Se qualcosa è cambiato con ITA-NZL di novembre (ne avevo scritto qui: ITALIA-NUOVA ZELANDA… qualcosa è cambiato), è difficile pensare che il 6N che sta ormai per iniziare non si porterà dietro, per l’Italia e i suoi fin troppo pazienti ed innamorati tifosi, un fardello pesante. Dopo quel punto di rottura, il rugby italico e i suoi appassionati non hanno avuto nè buone notizie nè rosee speranze: numeri impietosi, problemi sempre più evidenti, dichiarazioni un po’… come dire… ecco… (chi le ha sentite o lette lo sa e può definirle a suo gusto).

Per questi motivi, mi sembra che tiri un’aria un po’ diversa dal solito anche nell’attesa del 6 Nazioni 2019. C’è bisogno come il pane di vittorie ma, probabilmente, già intravedere dei veri ed incoraggianti passi avanti (ma non degli episodi palesemente sporadici) sarebbe per i tifosi un grande regalo.

Questo sentire è reso ancora più forte dall’inevitabile confronto con le altre cinque squadre che giocano il torneo: al di là di tradizione, seguito e tutto quanto, la cosa che ammazza l’appassionato italico è il vedere come gli altri vadano avanti e noi, purtroppo, no. Il lavoro strepitoso fatto dalla Scozia e le meraviglie che sta riuscendo a fare l’Irlanda ci fanno sentire minuscoli e lontanissimi. Sapere, per esperienza, che le avversarie, anche quando sembrano uccise da annate difficilissime (citofonare Francia ed Inghilterra), si riprenderanno e ricominceranno a correre dopo aver aggiustato quel che non va, ci fa sentire oggi quasi soli.

Pronostici? Non è facilissimo farne, perchè si tratta del 6 Nazioni dell’anno della RWC e le squadre che puntano a fare strada nel mondiale potrebbero giocare il 6 Nazioni “al risparmio” per quanto riguarda i giocatori di maggiore qualità, approfittando al contempo del torneo per dare spazio a nuovi nomi da testare. L’Italia, purtroppo, non ha questi problemi e questo potrebbe, sulla carta, consentire agli Azzurri di avere a che fare con partite più abbordabili (o meno proibitive), magari anche contro la mostruosa Irlanda (che alla RWC andrà da seconda nel ranking e in cerca di una storica vittoria). Il rovescio della medaglia è che i nuovi giocatori convocati dalle varie nazionali, in lotta per mettersi in mostra per cercare di strappare una maglia per la RWC, scenderanno di sicuro in campo con il coltello tra i denti.

Detto tutto questo, io dico comunque Irlanda, perchè i verdi stanno letteralmente volando e credo che le “seconde scelte” cercheranno di vincere questo 6 Nazioni, e vedo bene il Galles, squadra tosta, meno sotto pressione per il mondiale e al contempo assai motivata dal torneo europeo. Punto di domanda l’Inghilterra, in una fase orrida della sua storia ovale e sicuramente con la RWC nel mirino ma, al contempo, a caccia di risultati e credibilità a partire proprio dal 6 Nazioni. Periodo complicato anche per la Francia, che ha bisogno di ritrovare smalto e risultati ma soprattutto di testarsi in vista del Giappone, mentre vedo molto bene la Scozia, non ancora per una vittoria finale ma per risultati comunque importanti, per una conferma della sua crescita e per andare verso un nuovo passaggio di turno al mondiale. Che vinca il migliore!

Nell’attesa di sapere chi conquisterà il trofeo, noi appassionati, come sempre, guarderemo tutte le partite, qualcuno allo stadio e gli altri sul divano, tiferemo, commenteremo, vivremo il nostro mese e mezzo preferito, sparsi ma come se fossimo tutti vicini e, quando anche il 6 Nazioni 2019 sarà finito, con dentro un immediato senso di mancanza, inizieremo ad aspettare quello del 2020. I love this game!

P.s. Inizia il 6 Nazioni e non ho niente da mettermi!!! (Cit.!)

 

 

Partiamo dal 6 Nazioni…

Come primo post di questo mio nuovo blog, ho pensato di riesumare un mio scritto di febbraio 2018 dedicato al 6 Nazioni e, in particolare, al sentire che quel torneo e quel particolare periodo dell’anno generano in me in quanto appassionata di rugby che vive in Italia, cioè in un paese dove la palla ovale è un universo relativamente piccolo, a volte percepito come minuscolo. Dunque, mi cito da sola!

Ora siamo in periodo di test match autunnali che, per appassionati in perenne astinenza da rugby che vada oltre i club, non sono certo paragonabili al 6 Nazioni ma portano comunque quel saporino di week end davanti alla tv o altri schermi (non dubito di trattare abbondantemente in seguito il tema del “dove si vedono le partite di rugby?”) oppure, per qualcuno, allo stadio, con tutto il contorno annesso e le reunion con amici sparsi per l’Italia.

N.B. La mug di Nigel Owens e le patatine 1936 sono presenze imprescindibili di ogni mia visione di rugby da casa, indipendentemente dalla categoria e dal livello della partita sullo schermo.

Ecco quindi “L’attesa del 6 Nazioni è essa stessa il 6 Nazioni”:

” I divertenti post su facebook di una lontana, cara e decennale amica ovale mi hanno istantaneamente proiettata nell’universo 6 Nazioni e, subito, mi è venuta in mente quella che è la mia immagine, intesa come immagine di me, legata a questo mese e mezzo che, ogni anno, è per gli appassionati di rugby una sorta di prolungata festività, tipo un matrimonio indiano.

È difficile spiegare a chi non segue il rugby che cosa vuol dire il 6 Nazioni per chi è appassionato e, ancora di più, per chi lo è in Italia. Siamo pochi, durante il resto dell’anno il nostro sport è praticamente invisibile sui media non specializzati, in tv ormai si vede poco e niente, trovare qualcuno con cui parlare di rugby, al di fuori del piccolissimo mondo del club, del campo o del campionato nazionale che si segue, è più difficile che capire il verso del riporto di Trump.

Quello che sta per iniziare sarà il mio settimo 6 Nazioni da volontaria, quindi seguo l’evento anche sul campo (quasi letteralmente!) però, la prima immagine che io associo a me e al 6 Nazioni rimane sempre quella di casa mia, il divano, la tv accesa, la mug di Nigel Owens con il the, e la luce sonnacchiosa del sabato pomeriggio di febbraio-inizio marzo.

Tv accesa, cellulare in mano, partite e commenti live su facebook, post e scambi con i tanti amici e contatti appassionati. Perché, in quei pomeriggi, guardando le partite, ci avviciniamo tutti, da tutti i divani sparsi per l’Italia e al di fuori di essa, ci sentiamo tutti vicini in quel piccolo mondo che, di solito, è ancora più piccolo ma anche immensamente sparso, perché è solo al 6 Nazioni che veramente tutti stiamo guardando, in contemporanea, lo stesso rugby.

E trovo fantastico che questo esuli dalle sole partite dell’Italia e dai suoi risultati, dal tifo nazionale, dall’Azzurro: i sabati sul divano, per un paio di week end con appendice anche alla domenica, sono maratone, con orari ben scanditi all’interno dei quali si inseriscono il resto della vita e degli impegni, ovviamente rigorosamente prima della prima partita, tra una e l’altra se non sono immediatamente di seguito e dopo l’ultima. Tutti sui nostri divani, da soli, con cani e gatti, con la famiglia, con amici, tutti davanti alla tv, sapendo che siamo in tanti e che, finalmente, possiamo parlare della stessa cosa sapendo di essere capiti e di poterci confrontare, come se fossimo tutti sullo stesso enorme divano.

Quando il 6N finisce, è tristezza vera. Proprio una cosa da “si spengono le luci”, la fine di un mese e mezzo prima di attesa, poi di appuntamenti, di vicinanza virtuale che sembra vera, di atmosfera, di condivisione, di rugby. E si inizia il conto alla rovescia per l’anno dopo, perché l’attesa del 6 Nazioni è essa stessa il 6 Nazioni.

Buon 6N a tutti!”