ITA-NZL giocata ieri all’Olimpico di Roma per me è stata una partita diversa dal solito e mi sembra sia stata un po’ diversa dalle precedenti anche nell’atmosfera generale.
Per me è stata la prima partita non da volontaria FIR dal febbraio 2012, quindi la prima volta che ho messo piede all’Olimpico di Roma non in quella veste. Ho potuto comunque vivere l’evento in area stampa e quindi, nonostante la malinconia di non esserci “dentro” come al solito, sono riuscita lo stesso a salutare tanti amici e tante persone conosciute in questi anni. E mi sono accorta che sono veramente tante!
Naturalmente, un capitolo a sé stante è quello delle mie “Tesore” Fra e Roby, Amiche ben al di là di quel desk e, per la prima volta, come me, ad una partita lì non da volontarie. Nonostante il cambiamento di programma, non abbiamo mai dubitato di rivederci in ogni caso in questo week end, con o senza stadio. L’era del trio del desk media pare tramontata, ma noi tre no di certo!
Se ripenso alla mia “carriera” da volontaria FIR rivedo sette 6 Nazioni, un po’ di test match ed un mondialino U20: tante partite, tante emozioni, tante persone, tanti ricordi, molti belli, alcuni meno, ma me li tengo tutti. E mi tengo ben strette alcune conoscenze diventate vere e belle amicizie, sparse per l’Italia.
Il punto centrale del “mio” rugby, di un rugby che per me non è una professione ma “solo” un’enorme passione, in fondo è questo: la condivisione della stessa, le emozioni e i rapporti umani belli che mi porta. Oltre che materiale per questo mio piccolo blog!
Ieri a Roma ho visto una partita di una noia quasi rara e forse è raro anche dirlo di un incontro con 10 mete segnate, ma così è stato. Gli All Blacks, triste dirlo, si sono fatti praticamente un allenamento: troppo il divario tra le due squadre, con una sempre in affanno cercando di arginare gli avversari e l’altra che segnava ogni volta che decideva di farlo, schiacciando un filino il piede sull’acceleratore quel tanto da andare in meta mentre provava un po’ di giocate e di giocatori.
È stata la mia quarta ITA-NZL: la prima a Milano nel lontano 2009, le altre a Roma nel 2014 e nel 2016. Cosa è cambiato? In meglio, purtroppo, niente: il saldo punti fatti/presi è andato peggiorando, così come il divario tra le due squadre (che non è solo tutto scritto nei punteggi) ed anche il numero di spettatori. Ieri, per la prima volta, ho percepito in modo piuttosto chiaro una partita di puro business ma del tutto inutile dal punto di vista sportivo, per entrambe le squadre. Al contempo, la Haka, pur sempre mozzafiato dal vivo, così come l’aurea mitologica che, a ragione, circonda una nazionale che vince con percentuali mostruose e il cui marchio fattura tipo 240.000.000 di euro l’anno, sembrano bastare sempre meno a creare un evento attorno ad una partita sempre più vista come uno scontato bagno di sangue.
Ieri l’Italia non ha mancato di impegnarsi, chi era in campo ha fatto quel che ha potuto, ha preso botte, ha giocato, ma è finita 3-66. Nello sport, in ogni disciplina, si è sempre detto che misurarsi con chi è più forte è utile per migliorarsi ed imparare, ma è evidente che questo discorso vale entro certi limiti, altrimenti sono solo mazzate, a fisico e spirito. Ed è impossibile prenderla solo come un’esibizione: una partita di rugby internazionale che fa ranking non è un’esibizione degli Harlem Globetrotters. Su facebook ho letto un commento con un azzardato paragone calcistico, per spiegare la partita a qualcuno che non segue il rugby, che recitava: “like to say Chelsea-Milazzo”…
Questa partita ha fatto bene all’Italrugby? Secondo me, no. Incasso ed accessori annessi a parte, ovviamente. “È il professionismo, baby!” potrebbe venirmi risposto, “è lo sport del business”. Sicuramente è vero, ma certo non aiuta dal punto di vista sportivo, mentale e neanche di immagine una Nazionale che ha bisogno come il pane non solo di vincere ma anche di far vedere che progredisce, così come ne ha bisogno tutto il movimento che ci sta sotto. In Italia quasi nessuno sa qualcosa di rugby ma tutti sanno che “la Nazionale non vince mai”: questa cosa è molto triste e credo sia stata sperimentata più volte da ogni appassionato.
Da questo giro di test match l’Italia esce con l’evidenza di essere “troppo forte” per il Tier2 ma la peggiore del Tier1. Il grosso problema è che il 6 Nazioni lo giochiamo contro cinque squadre che nel Tier1 ci stanno comodissime, inclusa quella Scozia che nel giro di pochi anni è letteralmente decollata ed un’Irlanda che ha raggiunto un livello mai visto e fa brillare gli occhi a vederla giocare, togliendosi anche lo sfizio di battere sontuosamente gli All Blacks.
Il 6 Nazioni 2019 prevede, tra le altre, anche Italia-Irlanda all’Olimpico: la seconda squadra del ranking mondiale, l’anno della RWC, una tifoseria meravigliosa che colorerà Roma e lo stadio di verde. Ecco… alle partite dell’Italia lo stadio non è mai azzurro, e i tifosi di casa sono puntualmente inghiottiti dai colori delle nazionali avversarie, le cui tifoserie sono sempre ed orgogliosamente in tinta. Questa è un’altra cosa che fa capire quanto il rugby sia ancora lontano dal nostro paese e che spiega un’altra frase che ogni appassionato ovale si è sentito dire “n” volte, dopo l’ennesima sconfitta azzurra: “eh ma il rugby non fa parte della cultura italiana, non è cosa da italiani”.
Come si lotta contro questo? C’è poco da fare: vincendo. Quando la Nazionale di uno sport minore (definizione orrida ma veritiera) vince e attira l’attenzione per questo, tutto il resto viene da sé: business is business e lo capisco, ma pensiamo sempre anche al resto.
Detto tutto questo, mi devo informare se il governo neozelandese ha decorato mamma e papà Barrett per aver donato alla causa ben tre figlioli, ieri in campo tutti insieme e che, in due, da soli hanno rifilato all’Italia 35 punti.
(La strepitosa foto della Haka è dell’amica Francesca Soli: grazie!!!)
Rispondi